Iconografia. Tra miracoli e avventura: la Fuga in Egitto nell’arte

Nicolas Poussin, “Riposo durante la fuga in Egitto”, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage (Wikicommons)

Nicolas Poussin, “Riposo durante la fuga in Egitto”, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage (Wikicommons)

La base canonica scritturale della Fuga in Egitto è tanto esigua che la potente eco dell’arte suona quasi assordante. Questa Fuga, diventata tanto famosa, è menzionata esplicitamente solo in uno dei quattro Vangeli, quello di Matteo. E se è possibile metterla in relazione (talvolta in modo fragile, è necessario dirlo) con alcuni testi profetici dell’Antico Testamento che annunciarono tale evento, l’episodio non ebbe riscontro manifesto nel resto del Nuovo Testamento. I più recenti dizionari di patristica specificano che la Fuga in Egitto non fu oggetto di riflessione nei primi secoli cristiani. È marginale l’unico versetto del Corano che si riferirebbe all’Egitto come rifugio di Gesù e di sua madre, interpretazione dibattuta tra gli esegeti. Inoltre, è uno dei rari eventi del ciclo dell’infanzia di Cristo, salvo errori, che non è mai stato celebrato da una festa nel calendario liturgico, tranne quello della Chiesa Ortodossa Copta, tra cui figura come “le piccole feste di Cristo”. Infine, la riflessione teologica su questo episodio non sembra essere stata molto abbondante, almeno nella tradizione occidentale, e la ricerca storico-critica attuale sul tema è quanto meno discreta: Erode, infatti, era al soldo dei Romani e l’Egitto fu provincia romana dalla conquista da parte dell’imperatore Augusto nel 25 a.C. Politicamente parlando, che la Santa Famiglia abbia cercato rifugio proprio in Egitto non è scontato. Allo stesso tempo, però, in Egitto vivevano diverse comunità ebraiche fin dal VI-V secolo a.C.

D’altro canto, il numero di opere d’arte che questo episodio, che fu considerato come indubbiamente storico, ha suscitato, fu notevole. Questo si può verificare in ogni epoca e su ogni supporto immaginabile, come le miniature medievali o i gruppi scultorei dei Sacri monti italiani. Senza raggiungere le vette inaccessibili che nell’arte hanno toccato alcuni arci-soggetti come la Natività, la Madonna con il Bambino o la Crocifissione, il numero di opere dedicate alla Fuga in Egitto è davvero considerevole.

Questo successo, questa “popolarità” duratura nel corso dei secoli merita qualche parola di commento e spiegazione. Dobbiamo innanzitutto precisare che ciò che abbiamo appena detto vale solo per l’arte occidentale. Infatti, tale episodio nell’iconografia degli Orienti cristiani ha goduto fino ai secoli centrali del Medioevo di un certo peso nell’arte monumentale bizantina o bizantineggiante, soprattutto nella decorazione di chiese con mosaici (Cappella Palatina, Palermo) o affreschi ( Visoki Decani). Con il passare dei secoli tale tendenza mutò: la Fuga in Egitto non ha mai fatto parte del Dodecaorton, né del calendario liturgico ortodosso se non della Chiesa copta e non è un soggetto iconografico rappresentato nelle icone, se non accanto ad altri episodi del ciclo dell’infanzia.

Il mosaico con la “Fuga in Egitto” nella Cappella Palatina a Palermo, in cui san Giuseppe porta in spalla il bimbo Gesù (Wikicommons)

Il mosaico con la “Fuga in Egitto” nella Cappella Palatina a Palermo, in cui san Giuseppe porta in spalla il bimbo Gesù (Wikicommons)

Tornando all’immensa eco che questo episodio ebbe nell’arte occidentale, tre caratteristiche della Fuga in Egitto, intrecciate a tal punto che è impossibile pensare di separarle, possono contribuire a spiegare tale successo. In primis vi sono l’importanza e l’ampia diffusione dei testi apocrifi che circolano nel mondo latino su questa fase del ciclo dell’infanzia di Cristo. Questi hanno fornito abbondanti dettagli al sobrio racconto del Vangelo di Matteo, rendendolo una narrazione viva, che i pittori hanno a loro volta raccontato secondo il proprio stile. La letteratura apocrifa ha fornito i nomi di città: la più celebre è Hermopolis o Sotine, con il suo tempio con 365 idoli (Pseudo Vangelo di Matteo), ma la letteratura copta ha costruito elaborati itinerari, talvolta in contraddizione tra loro. Gli apocrifi hanno arricchito il viaggio della Santa Famiglia di accompagnatori, spesso presenti nel-l’arte, in particolare bizantina ed etiope: Salomè, la levatrice di Gesù secondo il Protovangelo di Giacomo, o “cugina della Vergine” secondo il Sinassario alessandrino e Giacomo, uno dei figli del precedente matrimonio di Giuseppe. La letteratura apocrifa abbonda poi di dettagli sul percorso ( Historia monachorum in Aegypto): gli attraversamenti del Nilo, il moltiplicarsi di miracoli, leoni e leopardi che scortano la Santa Famiglia (Pseudo Vangelo di Matteo), alberi di palme che si piegano per offrire datteri a Maria particolarmente golosa, Gesù che accelera il viaggio per evitare ai genitori di soffrire troppo il caldo del deserto e un numero infinito di guarigioni spettacolari ( Vangelo arabo-siriaco dell’infanzia).

Le fonti apocrife, abbondanti di dettagli e particolari spesso fantasiosi, permetteranno a pittori, mosaicisti, scultori di “ricamare” racconti con sfumature adattate alla committenza e al gusto dei propri clienti. È la seconda caratteristica di questo episodio che lo distingue da altri momenti della vita di Gesù: la Fuga in Egitto vanta un ricco potenziale di interpretazioni inventive che non si riscontra altrove. Il Battesimo di Cristo nel Giordano o la sua Trasfigurazione sul monte Tabor sono eventi che si svolgono in un luogo e in un momento ben definito, mentre la Fuga in Egitto è, in rapporto ad altri episodi, esteso nello spazio e nel tempo, e così povero di precisioni inconfutabili su luoghi, eventi, date, che la fantasia dei pittori ebbe libero sfogo.

Magister Gislebertus, 'Fuga in Egitto', capitello nella cattedrale di Autun (Wikicommons)

Magister Gislebertus, “Fuga in Egitto”, capitello nella cattedrale di Autun (Wikicommons)

Questo margine di manovra senza precedenti fu utilizzato per una serie di fini teologici o politici. Pochi passi dalla vita di Gesù, per esempio, si sono prestati come la Fuga in Egitto a una dimostrazione del rapporto conflittuale e chiaramente antitetico tra sua presenza sulla terra e quella degli idoli. Pochi momenti della sua vita furono l’occasione di un numero così abbondante di miracoli, accaduti l’uno dopo l’altro, come quello del tronco che si apre, dei datteri, del grano… per non parlare della presenza di angeli e/o angioletti che scortano la Santa Famiglia, la riconfortano e la distraggono dalle fatiche del viaggio.

La fine del Medioevo fu il periodo privilegiato del tema del Riposo durante la Fuga, accompagnato da concerti di violino e flauto dolce, palme che si inclinano e spighe di grano che crescono con straordinaria rapidità per nascondere la Santa Famiglia dai suoi persecutori. Per i pittori, soprattutto nella pittura nordica del XVI secolo, pochi episodi della vita di Gesù, come la Fuga in Egitto, furono il puro pretesto per dimostrare la loro abilità nel dipingere la natura, la vegetazione, i paesaggi, in lontananza, di notte, ma anche scorci urbani e orizzonti ben studiati. Il terzo elemento del successo duraturo di questo episodio tra i pittori, i loro committenti e i fedeli è la capacità di trasmettere un’emozione contagiosa, una risonanza umana che ha un carattere universale, sperimentato o immaginato, dell’esperienza della delocalizzazione, del cambiamento, dell’esilio, della Fuga per restare in vita. Quale popolo, quale epoca non ha avuto timore o non ha sofferto a causa di questa esperienza? La Fuga in Egitto è probabilmente, con le tentazioni di Cristo nel deserto, l’agonia di Gesù nel Getsemani, per non parlare della sua Crocifissione, uno dei momenti della vita di Cristo in cui la sua solitudine e la durezza del suo destino si sono manifestati nel modo più eloquente e drammatico. Ma fu necessario attendere il XIX secolo per vedere moltiplicarsi opere consacrate all’isolamento della Santa Famiglia, che pongono l’accento sull’angoscia provata. L’impatto di tali opere d’arte sulla sensibilità comune fu notevole perché accosta la Santa Famiglia a una quantità di altre famiglie che, senza la pretesa di essere ‘sante’ come Maria, Giuseppe e Gesù, possono provare a sopportare prove simili o peggiori.

Anticipiamo qui alcuni passaggi dalla conclusione del volume “La Fuga in Egitto nell’arte d’Oriente e d’Occidente” (Jaca Book, pagine 158, euro 20,00) in cui i due autori compiono una inedita ricognizione attraverso i secoli di una iconografia diffusa e ramificata.

da Avvenire

Urbi et Orbi. Papa Francesco: nei volti dei bimbi sofferenti riconosciamo Gesù Bambino


Nei volti dei bambini, specie quelli che nel mondo patiscono guerra, violenza e migrazioni forzate, riconosciamo il Bambino di Betlemme: è il forte appello di papa Francesco nel Messaggio di Natale. Il Natale è la festa dell’Incarnazione, del Dio che, come un Padre tenero, “si fa piccolo e povero per salvarci”: accogliamo questo gesto di amore e “impegniamoci a rendere il nostro mondo più umano e più degno dei bambini di oggi e domani”. E’ questo il cuore del Messaggio natalizio che, in occasione della Benedizione Urbi et Orbi Papa Francesco ha pronunciato dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro dopo gli inni vaticano e italiano suonati dalla Banda della Gendarmeria e dall’Arma dei Carabinieri.

Nel Bambino di Betlemme riconosciamo i volti dei piccoli del mondo
Ai credenti di ogni tempo Francesco chiede di essere “umili e vigilanti” come i pastori di Betlemme, di non “scandalizzarsi” di fronte al “mistero di Gesù” e alla sua “povertà”, ma di “fidarsi” e contemplarne la “gloria”. E poi con forza richiama l’attenzione del mondo sul significato del Natale: «Oggi, mentre sul mondo soffiano venti di guerra e un modello di sviluppo ormai superato continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale, il Natale ci richiama al segno del Bambino, e a riconoscerlo nei volti dei bambini, specialmente di quelli per i quali, come per Gesù, ‘non c’è posto nell’alloggio’»(Lc 2,7).

Pace e coesistenza in Terra Santa, prevalga il dialogo
E i primi bambini su cui Francesco si sofferma, sono quelli del Medio Oriente “che”, afferma “continuano a soffrire per l’acuirsi delle tensioni tra Israeliani e Palestinesi”: «In questo giorno di festa invochiamo dal Signore la pace per Gerusalemme e per tutta la Terra Santa; preghiamo perché tra le parti prevalga la volontà di riprendere il dialogo e si possa finalmente giungere a una soluzione negoziata che consenta la pacifica coesistenza di due Stati all’interno di confini concordati tra loro e internazionalmente riconosciuti. Il Signore sostenga anche lo sforzo di quanti nella Comunità internazionale sono animati dalla buona volontà di aiutare quella martoriata terra a trovare, nonostante i gravi ostacoli, la concordia, la giustizia e la sicurezza che da lungo tempo attende».

Dignità e unità per la Siria, soccorso allo Yemen
Il Natale, prosegue il Papa, ci porti a vedere Gesù nel volto dei bambini segnati dalla guerra anche in Siria, Iraq e nello Yemen: «Possa l’amata Siria ritrovare finalmente il rispetto della dignità di ogni persona, attraverso un comune impegno a ricostruire il tessuto sociale indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa. Vediamo Gesù nei bambini dell’Iraq, ancora ferito e diviso dalle ostilità che lo hanno interessato negli ultimi quindici anni, e nei bambini dello Yemen, dove è in corso un conflitto in gran parte dimenticato, con profonde implicazioni umanitarie sulla popolazione che subisce la fame e il diffondersi di malattie».

Pace in Africa, nella Penisola coreana e stabilità in Venezuela
La preghiera del Papa abbraccia anche i più piccoli e sofferenti del continente africano- in Sud Sudan, in Somalia, in Burundi, nella Repubblica Democratica del Congo, nella Repubblica Centroafricana e in Nigeria- e tutti questi bambini che sono “ minacciati dal pericolo di tensioni e nuovi conflitti”: «Preghiamo che nella penisola coreana si possano superare le contrapposizioni e accrescere la fiducia reciproca nell’interesse del mondo intero. A Gesù Bambino affidiamo il Venezuela perché possa riprendere un confronto sereno tra le diverse componenti sociali a beneficio di tutto l’amato popolo venezuelano».

Pace in Ucraina e dignità ai bambini sfruttati
Il volto di Gesù è da riconoscere, prosegue Francesco, anche nei bambini che, “insieme alle loro famiglie, patiscono le violenze del conflitto in Ucraina e le sue gravi ripercussioni umanitarie”; nei piccoli “i cui genitori non hanno un lavoro e faticano a offrire ai figli un avvenire sicuro e sereno, e in quelli a cui è stata rubata l’infanzia, obbligati a lavorare fin da piccoli o arruolati come soldati da mercenari senza scrupoli”.

Appello per le minoranze in Myanmar e Bangladesh
Riprendendo l’immagine di Gesù Maria e Giuseppe migranti forzati, citata nell’omelia della Messa di Natale, Francesco torna sul volto delle piccole vittime dei trafficanti di esseri umani, dei bambini migranti e soli e dei bambini da poco visitati in Asia:
Papa: Gesù conosce il dolore di non essere accolto. «Vediamo Gesù nei molti bambini costretti a lasciare i propri Paesi, a viaggiare da soli in condizioni disumane, facile preda dei trafficanti di esseri umani – ha detto Francesco -. Attraverso i loro occhi vediamo il dramma di tanti migranti forzati che mettono a rischio perfino la vita per affrontare viaggi estenuanti che talvolta finiscono in tragedia. Rivedo Gesù nei bambini che ho incontrato durante il mio ultimo viaggio in Myanmar e Bangladesh, e auspico che la Comunità internazionale non cessi di adoperarsi perché la dignità delle minoranze presenti nella Regione sia adeguatamente tutelata. Gesù conosce bene il dolore di non essere accolto e la fatica di non avere un luogo dove poter poggiare il capo. Il nostro cuore non sia chiuso come lo furono le case di Betlemme».

Cristo rinnovi i cuori e susciti desiderio di futuro solidale
A tutti in questa giornata, conclude il Papa, “è indicato il segno del Natale:’un bambino avvolto in fasce…’ (Lc 2,12)”. Accogliamo questo segno dell’amore di Dio fatto uomo, è l’invocazione di Francesco, e “impegniamoci, con la sua grazia, a rendere il nostro mondo più umano, più degno dei bambini di oggi e di domani”. Quindi,dopo aver impartito dalla Loggia la benedizione Urbi et Orbi il Pontefice ha rivolto un saluto ai fedeli in Piazza San Pietro e a quanti sono collegati attraverso i mezzi di comunicazione: «La nascita di Cristo Salvatore rinnovi i cuori, susciti il desiderio di costruire un futuro più fraterno e solidale, porti a tutti gioia e speranza. Buon Natale!»

(Gabriella Ceraso, Vatican News)

A Natale, Dio, ti voglio vicino

Turoldo dà voce a ogni uomo che sente il baratro della fatica, della povertà e dell’infelicità. Abbiamo un Bambino «mendicante d’amore» a cui non possiamo che rivolgere la più semplice delle preghiere: «Ti voglio vicino, mio Bene».

A Natale abbiamo una speranza, che per l’uomo di fede diviene certezza: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Quel «venne ad abitare in mezzo a noi» in greco suona come «piantò la sua tenda in noi». La tenda, che porta con sé tutta la memoria del deserto, indica la fragilità del Dio Bambino: la tenda non ha mura solide, per difesa e protezione. Ma la tenda è anche lo spazio immediato della casa, che in poco tempo può elevarsi per dare riparo e per offrire ospitalità. La tenda è lo spazio dell’amicizia, resa ancora più profonda da quel «in noi»: il Verbo non si pone accanto, si pone dentro di noi. Spazio dell’intimo segreto, della radice umana.

Tutto questo nel volto di un Bambino che di tutto ha bisogno. Ma in quel Bambino ci è offerta la possibilità di una vicinanza: del Dio che si fa uomo e, con questo, dell’uomo che porta Dio. Perché sappiamo che non c’è uomo in cui Dio non ponga la sua tenda dal giorno in cui il Figlio nacque a «Betlemme di Giudea».

Un Dio vicino, che noi desideriamo ci sia sempre più vicino. Perché un Dio bambino ci sorprende, ci disorienta. Un Dio bambino non risolve i nostri problemi, non obbedisce alle nostre richieste. Un Dio bambino ci costringe all’amore gratuito, che è quello che Lui offre. Un Dio bambino ci spinge a chiedere solo la vicinanza, che vinca solitudini e notti, come cantava padre Turoldo:

Ti voglio vicino, mio Bene

(quanto ti chiamo la notte!)

Ti voglio vicino, mio Amato.

Da solo, nessuno pensa

sia più povero e infelice.

Povero e infelice,

e nulla che mi riesca!…

Ma tu mi sei vicino

mi devi essere vicino!

Mio Dio:

anche tu

solo!

E per amore così esposto

e impotente.

Anche tu infelice

mendicante d’amore:

seduto alle porte della città.

Perfino seduto

alle porte del tempio:

da chi entra non degnato

di uno sguardo.

Insieme, insieme, mio Dio,

saremo felici!

Turoldo dà voce a ogni uomo che sente il baratro della fatica, della povertà e dell’infelicità. Abbiamo un Bambino «mendicante d’amore», un Bambino «esposto / e impotente». A questo Dio così ricco di novità non possiamo che rivolgere la più semplice delle preghiere: «Ti voglio vicino, mio Bene».

Quando siamo nel dubbio, nell’angoscia, nella paura, è di vicinanza che abbiamo bisogno. Qui sta il sollievo, qui la speranza, qui sta la felicità possibile: «Insieme, insieme, mio Dio / saremo felici!».

Dio, stai vicino all’uomo che arranca, dagli la tua mano, anche se di Bambino. Soprattutto se è di Bambino.

 

Buon Natale, amico lettore, che sia di vicinanza a Dio e al fratello.

vinonuovo.it

Lo spettacolo del presepe

Dove c’è un presepe, la gente si affolla: è un fenomeno riscontrabile ovunque, nelle case, nelle chiese, nei mercatini di Natale… e persino nell’affresco di Giotto.

IL PRESEPE VIVENTE DI GRECCIO

(Giotto con aiuti, tra cui, forse, Pietro Cavallini, 1295-99, Assisi, Basilica superiore di San Francesco)

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio…». Gv 1,1-5.9-14

È solo l’inizio della “più grande storia mai raccontata” (come titolava un film del 1965) ed è già storia. Il modo di rappresentarlo sarà naïf fin che si vuole, per i palati raffinati, sarà pure kitsch, demodé, ridicolo esuperato, eppure resta uno spettacolo che non ci si stanca di rivedere. Lo hanno intuito due uomini di teatro come Eduardo De Filippo e Roberto De Simone, che a Eduardo aveva portato in dono un presepe napoletano. E che, di fronte all’entusiasmo del maestro, osò domandare… maliziosamente: «Ma voi siete credente?». Ottenendo come risposta: «Vedete, io sono ateo, ma il presepe è il presepe».

Fu proprio Eduardo, in Natale in casa Cupiello, a cogliere come – nella stessa famiglia – potessero convivere le due anime, del denigratore del presepe e del sostenitore. Il duro e il tenero. Uno capace solo di giudizi estetici e l’altro capace di vedere, oltre alle pecore, un significato. E magari di sciogliersi per un Dio che si fa uomo, traslocando dal cielo d’oro al cielo celeste e venendo a farsi mortale tra i comuni mortali. I quali apprezzano e lo vanno subito a salutare senza nemmeno cambiarsi d’abito, con gli attrezzi da lavoro e gli animali… In più, il sostenitore è colpito da due gesti che sono gesti d’amore: quello di chi, questa storia, non si stanca di raccontarla e quello di chi non si stanca di ascoltarla.

Si vede pure nell’affresco di Assisi. Che contiene due novità, la prima delle quali dovuta a San Francesco e alla sua invenzione del presepe vivente, a Greccio, nel 1223, quando si serve di persone e animali veri, non di statue: come già era successo all’arte, era la realtà a chiedere cittadinanza e a entrare di prepotenza anche nel presepe. La seconda novità è pittorica: Giotto introduce, infatti, un modo inedito di «rappresentare le figure, metterle in scena nello spazio reale, contrapporre i caratteri. Come a teatro» (Arturo Carlo Quintavalle).

L’artista non è il primo a rappresentare una rappresentazione (lo facevano già i Greci), ma – agli attori – unisce il regista e soprattutto gli spettatori. Che sono indispensabili al teatro, per due impagabili piaceri che si provano di fronte a una storia, peraltro nota: quello di sentirsi gli uni con gli altri e quello di vedere come la storia venga riproposta.

Tali piaceri sono ancora il movente degli spettatori di oggi. Che, come bambini, adorano – quasi più della storia – la passione dei narratori, il loro ingegnarsi a rendere meraviglioso ciò che raccontano. E, nel caso del presepio, apprezzano che venga comunicata, se non la fede, quanto meno la passione per questa bellissima storia.

In un mese stracarico di luci, quella del presepe è la più calda. Un po’ per il calore di quel Bambino nella mangiatoia, garantito dai fiati del bue e dell’asino, un po’ per il calore della gente che si stringe e guarda. Se non esiste spettacolo senza spettatori, quelli del presepe – nel loro volerlo vedere da vicino – pare quasi ne vogliano far parte.

Dove c’è un presepe, la gente si affolla: è un fenomeno riscontrabile ovunque, nelle case, nelle chiese, nei mercatini di Natale… e persino nell’affresco di Giotto, malgrado non abbia traccia di sdolcinatezza. A spazzarla via, nella zona superiore, è quella tavola incombente con la sagoma della Crocifissione. È girata dalla parte del popolo di Dio, sia per essere aderente al vero (amato più del bello) sia per ricordare a tutti che il bimbo in braccio a Francesco non potrà scansare quella croce.

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