In Italia 4,5 mln di disabili, pochi servizi e integrazione

Supportati da pochi servizi, mentre il peso dell’assistenza ricade quasi interamente sulle famiglie sempre più in difficoltà, con un livello di istruzione mediamente più basso e grandi ostacoli nel riuscire ad avere un lavoro rispetto alla popolazione generale. Sono queste le condizioni di vita per la gran parte delle persone disabili in Italia, circa 4,5 milioni di cui oltre un terzo vive da solo. Il quadro, non proprio consolante, è tracciato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che ha sede presso la sede di Roma dell’Università Cattolica, alla vigilia della Giornata internazionale delle persone con disabilità che si celebra domenica 3 dicembre. In occasione della giornata il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha spiegato che si sta lavorando, in attesa di una revisione delle modalità di riconoscimento della disabilità, a criteri che permettano di differenziare la condizione della disabilità a seconda dell’intensità del sostegno assistenziale richiesto, per estendere gli interventi e favorirne una maggiore appropriatezza.
Intanto a preoccupare sono soprattutto le condizioni di “vulnerabilità” di molti disabili, la maggior parte dei quali ha una età superiore a 65 anni e vive nelle regioni del Mezzogiorno: tra gli over-65 il 42,4% vive da solo e non può contare sull’aiuto di un familiare, mentre tra gli over-75 solo un anziano su 10 è autonomo nella cura personale. Il livello di istruzione per questo gruppo di popolazione è inoltre mediamente basso, e nella classe di età 45-64 anni la percentuale di persone che ha al più la licenza media si attesta a circa il 70%, senza significative differenze di genere. Un altro diritto in parte disatteso è quello al lavoro: la percentuale di disabili tra 45 e 64 anni occupata è il 18% (contro il 58,7% della popolazione generale per la stessa fascia d’età) con rilevanti differenze di genere. Infatti, risulta occupato il 23% degli uomini con disabilità e solo il 14% delle donne.
Quanto alle risorse che il nostro Paese impegna per la funzione di spesa destinata alla disabilità, nel 2015 sono stati spesi 27,7 miliardi di euro pari all’1,7% del Pil. L’impegno economico per questa funzione in Europa è invece fissato a circa il 2% del Pil. In Italia, inoltre, la maggior parte dei trasferimenti economici del sistema di protezione sociale è erogato sotto forma di pensioni: in particolare vengono spesi 65 miliardi per le prestazioni pensionistiche legate alla presenza di una disabilità. Ne beneficiano 1 milione e 883 mila persone al Sud, 1 milione 559 mila al Nord e 918 mila nelle regioni del Centro. Dunque, è l’allarmante conclusione dell’Osservatorio, “possiamo affermare che l’inclusione sociale delle persone disabili è ancora lontana. I diritti sanciti nell’articolato della Convenzione Onu del 2009 – in particolare quelli alla salute, allo studio, all’inserimento lavorativo, all’accessibilità – non sono ancora perfezionati e la causa di questo è la mancata attuazioni delle normative, dovuta probabilmente alla lentezza delle amministrazioni nel loro recepimento e alla scarsità di risorse finanziarie”. La conseguenza, conclude l’Osservatorio, è che nel nostro Paese “il principale strumento di supporto alle persone con disabilità e alle loro famiglie è rappresentato dal sistema dei trasferimenti monetari, sia di tipo pensionistico sia assistenziale, mentre permane la carenza di servizi e assistenza da parte del sistema sociale”.

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Alzare o abbassare il prezzo di 7 ‘cibi chiave’ per salvare migliaia di vite

Basta un intervento sul prezzo di sette tipologie di cibo, alzando quello degli alimenti dannosi per la salute e abbassando quello di quelli ‘buoni’, per evitare decine di migliaia di morti l’anno per malattie cardiometaboliche come il diabete. Lo afferma uno studio, basato su dati statunitensi, della Tuft University, pubblicato su Bmc Medicine.
I ricercatori hanno analizzato i consumi di frutta, verdura, cereali integrali e frutta secca, gli alimenti ‘buoni’, e di carne rossa e lavorata e bevande zuccherate, elaborando due diverse proiezioni. In una il prezzo dei primi è stato abbassato del 10%, mentre quello dei secondi è stato alzato della stessa misura, mentre nel secondo scenario la variazione è stata del 30%.
Nel primo caso, scrivono gli autori, si eviterebbero negli Usa 23mila morti l’anno, circa il 3,5% del totale per le malattie cardiometaboliche, con i benefici maggiori per ictus e diabete. Con un intervento più deciso le morti evitate salirebbero invece al 10% del totale.
L’effetto sarebbe maggiore per le fasce di reddito più basse.
“Questo è particolarmente rilevante – afferma Dariush Mozaffarian, uno degli autori – perché ci sono diseguaglianze crescenti nelle diete e nelle malattie. Le strategie attuali, dalle campagne educative alle etichette sui cibi, hanno migliorato le cose in generale, ma meno per le persone con un basso status socioeconomico”.

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Spiagge invase da cotton fioc, Enea ne stima 100 milioni

Sono i cotton fioc il rifiuto che inquina di più le spiagge italiane: ne sono stati stimati oltre cento milioni di pezzi dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile che ha compiuto alcuni studi da cui emerge che oltre l’80% dei rifiuti raccolti sulle spiagge italiane è rappresentato da plastiche che minacciano l’ecosistema e la salute dell’uomo.

Sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia anche le fonti d’inquinamento da microplastiche che per le dimensioni inferiori a 5 millimetri, non vengono trattenute dagli impianti di depurazione delle acque reflue. I frammenti, prodotti dalla degradazione delle plastiche, rappresentano il 46% degli “oggetti” rinvenuti lungo le spiagge italiane. In alcune località, spiega l’Enea, sono stati rinvenuti fino a 18 oggetti di plastica per metro quadrato.

L’Enea, che ha presentato questi dati al worskhop “Marine litter: da emergenza ambientale a potenziale risorsa”, ricorda che secondo alcuni studi, sono 700mila le microfibre di plastica scaricate in mare da un solo lavaggio di lavatrice e 24 le tonnellate di microplastica provenienti dai prodotti cosmetici di uso quotidiano che ogni giorno riversiamo nei mari europei e che entrano nella catena alimentare.

L’Enea ricorda che secondo alcuni studi, sono 700mila le microfibre di plastica scaricate in mare da un solo lavaggio di lavatrice e 24 le tonnellate di microplastica provenienti dai prodotti cosmetici di uso quotidiano che ogni giorno riversiamo nei mari europei e che entrano nella catena alimentare. Prodotti di degradazione delle plastiche sono stati rinvenuti infatti anche nel fegato di spigole e microplastiche persino nel sale da cucina: uno studio condotto sul pescespada, ha evidenziato che nei contenuti stomacali di alcuni esemplari sono stati ritrovati rifiuti marini che riflettono le tipologie di plastiche maggiormente presenti in ambiente marino.

Per il ricercatore dell’Enea Loris Pietrelli del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali, “la presenza delle plastiche in mare è in larga parte dovuta a una scorretta gestione dei rifiuti solidi urbani, alla mancata o insufficiente depurazione dei reflui urbani, a comportamenti individuali quotidiani inconsapevoli. Così facendo il rischio di trasformare i nostri mari in discariche è molto elevato. Secondo alcune ipotesi, entro il 2050 nel mare avremo più plastica che pesci”.

Infine, è sato ricordato che Secondo l’Unep (United Nations Environment Programme) l’impatto economico derivato dai rifiuti nei mari del Pianeta è di 8 miliardi di euro l’anno e la spesa europea per la pulizia annuale delle spiagge è stimata in circa 412 milioni di euro. Il Mar Mediterraneo non è ancora agli stessi livelli del Pacific Trash Vortex, l’isola di plastica nell’Oceano Pacifico, ma la plastica rappresenta già un problema ambientale da quantificare, conoscere ed affrontare: un rapporto UE del 2015 stima nel Mar Mediterraneo oltre 100mila pezzi di plastica per kmq.

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Informatica. Unico, la start up italiana che scommette sul collezionismo digitale

C’erano una volta le figurine o le automobiline. Per i più grandi, francobolli e monete. E per quelli proprio fissati le farfalle o i vasi cinesi. Il variegato mondo del collezionismo, insomma. Uno dei passatempi più antichi e popolari, che appassiona da secoli generazioni sugli oggetti più diversi, dai tappi di birra alle opere d’arte. E poteva il collezionismo, nel mondo globale e
digitalizzato, sfuggire alla digitalizzazione? Ebbene, anche la mania di mettere assieme oggetti, possibilmente rari o unici, sta sbarcando sul web. Ci sta provando una start up italiana, UNICO, una srl che vuole lanciare lo scambio o la vendita di immagini digitali, certificate e a tiratura limitata.

Un gioco da ragazzini? «A dire il vero negli Stati Uniti il collezionismo digitale ha prodotto un giro di affari di 600 milioni di dollari», spiega l’amministratore delegato di UNICO, Claudio Parrinello. Per lo più con figurine digitali della mitica serie televisiva Star Trek. «Il nostro progetto è molto più innovativo – dice l’Ad di Unico – perché se l’azienda che produce figurine digitali chiude, finisce tutto. La differenza sta nel fatto che i nostri collezionabili sono eterni, o almeno eterni quanto lo è internet». E cioé? «Gli oggetti collezionabili di UNICO utilizzano la tecnologia degli smart contracts sulla blockchain Ethereum, che è il protocollo di stoccaggio più sicuro, una sorta di certificazione digitale praticamente impossibile da falsificare».

Un progetto singolare, partorito da uno staff guidato da un amministratore delegato singolare. ClaudioParrinello vanta un curriculum di tutto rispetto: prima ricercatore di fisica, poi manager al CERN di Ginevra, quindi cofondatore in Francia della Terabee, azienda di droni e sensori per la navigazione robotica.Ora la nuova avventura del collezionismo digitale. «In Europa si sta facendo strada, ad esempio in Gran Bretagna. Ma la nostra idea – dice Parrinello – è di dargli, grazie alla blockchain Ethereum che non ha sede o cda, un carattere di perennità nell’informatica. Grazie alle potenzialità della Blockchain creiamo oggetti digitali con le caratteristiche essenziali dei collezionabili, cioé autenticità garantita, tiratura limitata, perennità e la possibilità di effettuare scambi e vendite fra collezionisti».

La tecnologia di UNICO permetterà ad esempio di creare figurine digitali dei campioni dello sport, o video musicali, oppure ricostruzioni in 3D. Il tutto a tiratura limitata e a prova di contraffazione, grazie appunto all’emissione sulla blockchain Ethereum di un numero limitato di certificati di proprietà. I collezionabili, unici ed originali, potranno essere scambiati tra collezionisti, sempre con la tecnologia degli smart contracts. Non solo: come i francobolli che hanno un particolare valore per un timbro di annullo speciale, UNICO è in grado di “stampigliare” sui propri collezionabili digitali una certificazione di presenza del collezionista a eventi particolari, come partite di calcio o concerti. Il tifoso o il fan potrà provare ad esempio di avere assistito a tutte le partite della sua squadra in quell’anno di campionato.

Ora la start up italiana sta chiudendo un accordo con un collezionista d’arte statunitense per lanciareun’immagine collezionabile a tiratura limitata dell’unico ritratto pittorico per cui ha posato Michael Jackson, basata sulla fotografia ad alta risoluzione di una serigrafia numerata, autografata dal cantante e dall’autore. Per i più colti sta preparando la commercializzazione di una ricostruzione in edizione limitata della visita in realtà virtuale di un sito dell’antica Roma. Un’idea che, nel nostro Paese, può trovare praterie sconfinate, creando allo stesso tempo prodotti di divulgazione scientifica. Il momento insomma sembra favorevole: UNICO ha appena partecipato con successo a Lubiana ad una iniziativa di finanziamento in crowdfunding.

da Avvenire