Tempo: previsioni delle ore per il 4 Dicembre 2017

3bmeteo.com comunica le previsioni del tempo sull’Italia per la giornata di domani. Al Nord bel tempo salvo qualche innocua velatura, locali addensamenti sulle Alpi orientali con fiocchi dagli 800m. Temperature in rialzo, massime tra 6 e 11, minime in ulteriore calo, fino a -5. Al Centro bel tempo prevalente salvo variabilità in Abruzzo con ultimi piovaschi al mattino. Temperature in lieve rialzo, massime tra 8 e 11. Minime fino a -4 nelle valli. Al Sud a tratti instabile con piovaschi e neve dai 700m, fenomeni in graduale esaurimento serale. Temperature in ulteriore lieve calo, massime tra 9 e 11. (ANSA)

Volontariato internazionale. Premio Focsiv a 3 donne in prima linea tra Europa e Africa

Tre donne di culture e religioni diverse, unite dallo stesso impegno volontario per il prossimo: per la cura e l’assistenza alle comunità rurali afflitte dall’aids in Tanzania, per la costruzione del dialogo e dell’integrazione in Italia, per l’aiuto ai profughi trafficati e brutalizzati nelle rotte tra l’area sub-sahariana e il Nord Africa. Sono Anna Dedola, Kadhija Tirah e Alganesc Fessaha le assegnatarie del Premio del Volontariato Internazionale giunto alla XXIV edizione.

Anna Dedola, 33 anni, sarda, è la vincitrice del Premio Volontario Internazionale Focsvi 2017. Vive in Tanzania da sette anni e da due lavora con Cope- Cooperazione Paesi Emergenti. Nel paese africano è arrivata nel 2010 per le sue ricerche di architetto sulla costruzione degli edifici in terra cruda stabilizzata. Poi dopo la laurea a Torino ritorna con i padre cappuccini toscani per insegnare le tecniche di costruzione. Perfettamente integrata, oggi è madre di Francesco, 5 anni, adottato e di Frida, 2 anni, avuta dal suo compagno Isacka, e project manager per il Cope nella regione di Iringa di due progetti: la casa per bambini orfani e con hiv (in Tanzania è sieropositivo il 30% della popolazione) e del centro per la salute rurale a Nyololo, con 60 posti letto e cinque reparti.

Alganesc Fessaha, 69 anni, nata in Eritrea e medico a Milano, è la vincitrice del Premio Volontariato del Sud Focsiv 2017. Ha fondato l’ong Gandhi Charity. Da anni si batte per salvare i profughi che dal Corno d’Africa cercano di raggiungere l’Europa e spesso finiscono nelle mani dei trafficanti o peggio dei predoni del Sinai dove vengono torturati e violentati per estorcere riscatti dai familiari, o in caso negativo usati per espiantarne gli organi. Opera per cui ha più volte rischiato la vita ed è stata anche brutalmente pestata dai trafficanti. Si è impegnata anche nell’emancipazione delle donne e dei bambini in Costa d’Avorio e nell’assistenza ai sopravvissuti ai naufragi e nei contatti con le famiglie di origine.

Khadija Tirha, 25 anni, nata in Marocco e torinese di adozione, è la vincitrice del Premio Giovane Volontario Europeo 2017. Da quando aveva 6 anni vive a Torino con la sua famiglia e dal 2009 è cittadina italiana.Musulmana praticante, da sempre impegnata nel volontariato, ha svolto il servizio civile con LVIA – Servizio di Pace, girando per le scuole per parlare di razzismo e di diritto alla cittadinanza delle seconde generazioni dei figli degli immigrati. Ha collaborato all’accoglienza a Torino di una famiglia siriana arrivata grazie ai Corridoi umanitari organizzati da Comunità di Sant’Egidio, Tavola Valdese e Federazione delle comunità evangeliche italiane.

Alla cerimonia di premiazione, ospitata stamattina presso la John Cabot University a Trastevere, dopo l’introduzione del presidente della Focsiv Gianfranco Cattai, non ha fatto mancare un suo messaggio il presidente della Cei cardinale Gualtiero Bassetti, letto dal rappresentante della Cei in Focsiv, monsignor Luigi Bressan: «Mi preme rimarcare l’attenzione e l’affetto della Chiesa italiana per la vostra preziosa realtà. Vi confermo – ha ribadito il presidente della Cei – l’apprezzamento dei vescovi per il vostro inesausto impegno di servizio di volontariato, di identità e di matrice cristiana che da 45 anni agisce per costruire un mondo di giustizia, pace e fraternità tra i popoli. Dal 1972 avete formato e messo in campo ben 25 mila volontari che si sono spesi e si spendono in prima persona per dare testimonianza del vero senso del volontariato che è prima di tutto dono e gratuità. Che per noi cristiani – ha detto Bassetti – resta prima di tutto un dovere e una missione oltre che una responsabilità non eludibile. Il Sud del mondo continua ad interpellarci e a chiederci di costruire, in Occidente come nei paesi di origine, società e comunità dove nessuno si senta rifiutato, scartato, emarginato, sfruttato. Dove siano garantiti diritti di tutti».

Per Edoardo Patriarca, parlamentare e presidente dell’Istituto italiano della donazione e del Centro per il volontariato di Lucca , «c’è un Paese arrabbiato, è vero, ma bisogna raccontare anche l’altro Paese, forse maggioritario, che si rimbocca le maniche e affronta la crisi prendendo il vento in faccia e assumendosi il suo pezzo di responsabilità. E’ il compito grande che tocca al volontariato, quel Paese di cittadini indignati ma impegnati, coraggiosi e non rancorosi».

«L’Italia più bella forse è un’Italia della diaspora – ha aggiunto Luciano Scalettari, inviato di Famiglia Cristiana– ma queli che partono per fare volontariato internazionale sono ponti tra mondi diversi, sono occhi che ci permettono di vedere cosa accade in Tanzania come in Libia, sono testimoni di valori come accoglienza, inclusione, affermazione dei diritti, sviluppo delle comunità locali. Valori fondamentali oggi messi in discussione con manifesti politici o prime pagine di giornali. Sono l’antidoto ai discorsi d’odio, al vento di razzismo che soffia in Italia e in Europa».

Anche per Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, «viviamo un tempo in cui il concerto mediatico, aspro e dissonante, mette in discussione proprio chi fa la cosa giusta da fare. Con la retorica dell’ “aiutiamoli a casa loro” usata da chi a casa loro non li aiuta affatto e la usa contro chi invece a casa loro davvero li aiuta». Questo premio assegnato dalla Focsiv «è importante per capire quanto la femminilità sappia dire nel gesto straordinariamente umano, cristiano e politico dell’aiutare».

da Avvenire

Il giusto modo della fede. Con Dio, componendo le differenze

La realtà, ci ricorda sempre papa Francesco, si vede meglio dalla periferia che dal centro. E anche da questo punto di vista il ventunesimo viaggio internazionale di Francesco, concluso ieri in due nazioni “periferiche” come il Bangladesh e il Myanmar, ha davvero molto da insegnarci e sotto diversi profili.

Il primo elemento che balza agli occhi è il ruolo pubblico delle religioni. In questi Paesi la fede conta e ispira la quotidianità, contribuendo a contrastare, nonostante la povertà e le difficili condizioni di vita, le paure per il futuro. Quanta differenza rispetto a certa laicità ostile d’Occidente, che aspira a confinare la religione nel privato delle coscienze, che cancella i simboli religiosi anche quando fanno parte della cultura profonda di un popolo, che grida all’ingerenza quando la Chiesa si schiera in difesa dell’umano, cioè delle persone in carne e ossa e della loro dignità. Dal Sud del mondo, e papa Francesco ci aiuta a vederlo, è evidente il tramonto inarrestabile di questa idea tutta occidentale, che ha creato in definitiva soprattutto vuoto esistenziale, individualismi, inverni demografici. È la inerme “rivincita” di Dio. Non prenderne atto sarebbe come negare che ogni giorno c’è l’alba.

Il loro ruolo pubblico, del resto – ed è il secondo insegnamento del viaggio – le religioni se lo sono conquistato con i fatti. In positivo, quando compongono un mosaico di pacifica convivenza come in Bangladesh e come auspicato più volte dal Papa durante la duplice visita. E purtroppo anche in negativo, quando vengono prese a pretesto per la violenza e l’odio. L’itinerario apostolico di Francesco ha incrociato in questi giorni la tragedia politico-religiosa divenuta finalmente emblematica dei rohingya e il Pontefice ha scritto a Dacca – città toccata appena lo scorso anno dalla follia di chi bestemmia il nome di Dio seminando la morte in suo nome – una pagina incancellabile del dialogo interreligioso, il vero antidoto al terrorismo fondamentalista.

La sua richiesta di perdono per ciò che il popolo rohingya ha subito, l’abbraccio paterno e la delicatezza di chiamarli per nome in Bangladesh (rispettando al contempo la particolare sensibilità birmana sull’argomento) sono gesti paradigmatici. Al posto dei rohingya avrebbero potuto esserci anche altri popoli e gruppi perseguitati, o i martiri cristiani in difesa dei quali più volte il Papa si è apertamente schierato.

Non si tratta di privilegiare questo o quello. Il grido profetico di Francesco si leva per ricordare al mondo, ai carnefici come agli indifferenti, che tutti gli uomini sono «immagine di Dio». Al di là dei nomi politicamente o meno “scorretti”.
E qui il discorso chiama inevitabilmente in causa l’azione dei governi e delle istituzioni internazionali. Il «non bisogna avere paura delle differenze» è messaggio anche politico. Non comprenderne la verità comporta, come la cronaca insegna, un prezzo da pagare molto alto.

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