26 Nov 2017 XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

26 Novembre 2017 XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Bianco

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Conosciamo questo testo che, ai giorni nostri, è uno dei più citati e discussi. Per alcuni esso riassume quasi tutto il Vangelo. Questa tendenza non dipende da una moda o da una certa ideologia, ma corrisponde a qualcosa di assai più profondo che già esiste in noi. Quando siamo colpiti e sorpresi da un’idea, da un avvenimento o da una persona, sembriamo dimenticare tutto il resto per non vedere più che ciò che ci ha colpiti. Cerchiamo una chiave in grado di aprire tutte le porte, una risposta semplice a domande difficili.
Se leggiamo questo passo del Vangelo con questo spirito, il solo criterio di giudizio, e di conseguenza di salvezza o di condanna, è la nostra risposta ai bisogni più concreti del nostro prossimo. Poco importa ciò che si crede e come si crede, poco importa la nostra appartenenza o meno a una comunità istituzionale, poco importano le intenzioni e la coscienza, ciò che conta è agire ed essere dalla parte dei poveri e dei marginali.
Eppure, questa pagina del Vangelo di san Matteo è inscindibile dal resto del suo Vangelo e del Vangelo intero. In Matteo troviamo molti “discorsi” che si riferiscono al giudizio finale. Colui che non si limita a fare la volontà di Dio attraverso le parole non sarà condannato (Mt 7,21-27). Colui che non perdona non sarà perdonato (Mt 6,12-15; 1-35). Il Signore riconoscerà davanti a suo Padre nei cieli colui che si è dichiarato per lui davanti agli uomini (Mt 10,31-33). La via della salvezza è la porta stretta (Mt 7,13). Per seguire Cristo bisogna portare la propria croce e rinnegare se stessi. Colui che vuole salvare la propria vita la perderà (Mt 16,24-26). San Marco ci dice anche: Colui che crederà e sarà battezzato, sarà salvato. Colui che non crederà sarà condannato (Mc 16,15-16). Queste parole ci avvertono di non escludere dal resoconto finale la nostra risposta ai doni soprannaturali e alla rivelazione. Guarire le piaghe del mondo, eliminare le miserie e le ingiustizie, tutto questo fa parte integrante della nostra vita cristiana, ma noi non rendiamo un servizio all’umanità che nella misura in cui, seguendo il Cristo, liberiamo noi stessi e liberiamo gli altri dalla schiavitù del peccato. Allora solamente il suo regno comincerà a diventare realtà.

Idee. Jean Louis Ska: «Abbiamo bisogno di profeti per risvegliare le coscienze»

I protagonisti biblici: seminatori di speranza, non si lasciano impressionare dal potere e lottano per una società giusta e solidale. Una tradizione che per fortuna non si è spenta

«Non c’è più alcun profeta, e fra noi nessuno sa fino a quando»: il grido del Salmo 74 fa parte di un lungo lamento dopo il saccheggio e l’incendio della città di Gerusalemme nel 586 a.C. La desolazione e la disperazione invadono tutti gli spiriti perché l’impensabile è accaduto: la città santa non si è salvata.

Il grido, però, si applica a tante situazioni e molti sono tentati di riprenderlo oggi, in un mondo che sembra confermare quello che diceva Giobbe: «[…] Ciò che io temo, mi colpisce, e ciò che mi spaventa, mi sopraggiunge. Non ho tranquillità, non ho pace, non ho posa, mi assale il tormento » (Gb 3,25-26). In questo nostro mondo ove diventa difficile seminare la speranza, esistono ancora profeti? E chi sono i profeti dei nostri giorni? Vorrei mostrare, in questo breve testo, che l’antica tradizione dei profeti biblici non si è completamente spenta.

Inizio con una citazione: «L’uomo ragionevole si adatta al mondo; l’uomo irragionevole persiste nella volontà di adattare il mondo a se stesso. Perciò, ogni progresso dipende dall’uomo irragionevole». La frase viene da George Bernard Shaw, scrittore irlandese (1865-1950), conosciuto per le sue riflessioni provocatorie, e si presta senza dubbio a numerose interpretazioni, alcune addirittura sconsiderate. Rimane vero, tuttavia, che situazioni di oppressione possono durare a lungo perché tante persone o società sopportano le loro condizioni di vita senza protestare. I tiranni del nostro mondo sanno benissimo che molta gente teme di reagire e preferisce soffrire piuttosto che affrontare gravi pericoli.

George Bernard Shaw offre in merito riflessioni più che valide. Egli non era certo un “cristiano modello” e non aveva mai preteso esserlo. Era però molto sensibile alle questioni sociali in un tempo in cui il divario fra i ceti si era accentuato a grande velocità. Conobbe uno sviluppo industriale a volte selvaggio, e conobbe anche due guerre mondiali e la rivoluzione di ottobre in Russia. Non dimentichiamo, tuttavia, che trovò una fonte di ispirazione nel Discorso della montagna del Vangelo di Matteo (Mt 57), in particolare quando si trattò di combattere contro la guerra. Fu pacifista, socialista, vegetariano, e premio Nobel per la letteratura nel 1925. Usò il teatro piuttosto che la politica per diffondere le sue idee.

In una frase spesso citata, considerava il teatro «una fucina di pensieri, una guida per la coscienza, un commentario della condotta socia- le, una corazza contro la disperazione e la stupidità e un tempio per l’elevazione dell’uomo» ( Shaw’s Dramatic Criticism from the Saturday Review, 1895-1898). Il suo pubblico era invitato a pensare, a interrogarsi e a promuovere un’umanità migliore. D’altronde, il teatro doveva avere una funzione educativa, doveva aguzzare il senso critico, permettere di combattere ignoranza e stupidità e, nello stesso tempo, impedire di scoraggiarsi davanti alla malvagità del mondo. In poche parole, il teatro doveva denunciare quello che non dovrebbe esistere in questo mondo, far sognare un mondo diverso e instillare l’energia necessaria per costruirlo.

Il pensiero di Bernard Shaw ebbe molto seguito. Robert Kennedy, ad esempio, utilizzò come slogan per la sua campagna elettorale, nel 1968, una frase attribuita a George Bernard Shaw: «Alcuni uomini vedono le cose così come sono e dicono: “Perché?”. Io sogno le cose come non sono mai state e dico: “Perché no?”».

Viene immediatamente in mente: da dove proviene quel tipo di personalità che riesce a scuotere le coscienze perché sogna un mondo diverso? Penso che il mondo del profetismo biblico ci aiuti a rispondere a tale domanda. I profeti biblici, alla stregua di Michea e Amos, possono essere considerati come precursori degli spiriti come quelli di George Bernard Shaw, almeno nel campo della lotta per una società più giusta e nello sforzo di svegliare le coscienze addormentate del loro tempo.

Vi sarebbero molti esempi di questo tipo. Ne menziono ancora uno, quello dello scrittore filippino José Rizal(1861-1896), giustiziato dalle autorità coloniali spagnole per le sue idee, benché fosse un convinto pacifista. Egli diceva a proposito del suo popolo: «La rassegnazione non è sempre [una] virtù, è un crimine quando incoraggia i tiranni: non vi sono despoti ove non vi sono schiavi» (dal romanzo El filibusterismo – “La sovversione” – pubblicato a Gand nel 1891 e ristampato di recente). Si deve aggiungere che era un autentico cristiano, però si è ribellato contro l’uso o l’abuso che si faceva della religione per convincere le popolazioni locali a sottomettersi a tutto ciò che veniva dall’autorità. Non ha organizzato alcuna lotta armata. Ha scritto poesie e romanzi che continuano a ispirare centinaia di persone ovunque nel mondo. La sua vita dimostra che il potere delle idee è ben più efficace di quello delle armi. Le armi uccidono persone, però non uccidono le idee.

José Rizal è stato giustiziato, le sue idee sono ancora ben presenti in molti ambienti. La sua insistenza è sul dovere di reagire e di denunciare pratiche tiranniche a nome della dignità umana. La rassegnazione fa il gioco del despotismo. Ha certamente ragione quando dice: «Non vi sono despoti ove non vi sono schiavi». Le tirannie di questo mondo sono fondate sulla paura e la paura è alla radice della schiavitù. Lo schiavo rimane schiavo finché ha paura del suo padrone. Smette di essere schiavo quando smette di avere paura. Sono i profeti che riescono a convincere gli schiavi di ogni tipo che sono loro a decidere della loro sorte. Il potere di un tiranno, fosse il più potente di questo mondo, è sempre limitato.

Nei nostri giorni, vi sono ancora persone simili ai profeti dell’Antico Testamento, a George Bernard Shaw o a José Rizal, ad esempio, per prendere una personalità molto vicina a noi, Stéphane Hessel (Berlino, 1917 – Parigi, 2013), con il suo grido «Indignez-vous!». Il libretto (uscito in traduzione italiana come Indignatevi! nel 2011), scritto all’età di 93 anni, ha avuto un successo travolgente. Più di 700mila copie sono state vendute in Francia solo nell’anno della sua pubblicazione. Indignarsi significa non accettare l’ingiustizia perché inevitabile, non rassegnarsi perché resistere è troppo difficile, non rinunciare ad agire perché il compito è enorme, e non tacere perché parlare sembra inutile. Stéphane Hessel conclude in questo modo le sue riflessioni da vecchietto sempre giovane e arzillo: «A quelli che costruiranno il ventunesimo secolo, diciamo con affetto: creare è resistere. Resistere è creare».

Anticipiamo qui ampi stralci del testo del gesuita belga Jean Louis Ska, considerato tra i maggiori biblisti ed esegeti contemporanei, pubblicato nel numero in uscita di Vita e Pensiero, bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

da Avvenire

Parigi. Il musical su Gesù conquista la Francia

«Tra i destini che hanno rivoluzionato l’umanità c’è quello di un uomo le cui parole e azioni non cessano di risuonare». Questo lo slogan con cui si presenta Jésus de Nazareth à Jérusalem (Gesù di Nazareth a Gerusalemme), un musical kolossal che sta spopolando a Parigi in questi giorni, ideato e scritto dalla star della canzone francese Pascal Obispo, mentre libretto e regia sono a cura di Christophe Barratier, regista del film di grande successo Les Choristes – I ragazzi del coro. Per scrivere i testi delle canzoni, poi, è stato arruolato uno staff di autori di primo piano, Pierre-Yves Lebert e Didier Golemanas, autori di successi per Johnny Hallyday, Michel Sardou, Vanessa Paradis, oltre al consulente storico-letterario Victor Sabot, scrittore che ha dedicato i suoi studi alla poesia cristiana contemporanea
Il musical ha debuttato il 17 ottobre al Palais des Sports – Dôme di Parigi dove è stato prolungato di un mese, restando fino al 31 dicembre per poi toccare con una lunga tournée tutte le principali città di Francia, da Digione a Marsiglia, Tolosa, Lione, Strasburgo per toccare poi Bruxelles. La forza del messaggio di Gesù, evidentemente fa ancora breccia nel cuore della laica Francia di oggi. Obispo torna al musical biblico dopo l’enorme successo nel 2000 del suo musical I dieci Comandamenti, anche se precisa che il lavoro su Gesù, che ripercorre gli ultimi tre anni dal battesimo di Giovanni Battista alla Resurrezione, punta di più sull’aspetto umano, che su quello legato al divino.

«Questo Gesù non è uno spettacolo sulla religione, ma è uno spettacolo spirituale e interconfessionale – ha spiegato alla stampa –. Questa storia racconta soprattutto la fine della vita di un uomo conosciuto da tutti, che si sia credenti o no e che non ha cessato di battersi contro l’ingiustizia a favore degli esclusi, delle prostitute, dei malati, degli handicappati. Di Gesù oggi ce ne sono dappertutto, nelle tante associazioni che aiutano gli emarginati» aggiunge l’artista personalmente impegnato nella solidarietà. Dal canto suo il regista Barratier aggiunge: «Non è solo la storia più meravigliosa del mondo, ma anche il soggetto più pericoloso da trattare, ma non ho potuto dire di no. Siamo qui per passare attraverso questo spettacolo un messaggio di speranza, d’umanità, d’amore e di pace attraverso la vita di quest’uomo eccezionale».
Il musical è stato preceduto la giugno dall’uscita dell’album omonimo e dal lancio dei singoli La buona novella,Amatevi gli uni gli altri e L’addio interpretato da Maria. Testi immediati e semplici che, seppur con qualche banalizzazione, restano fedeli ai testi sacri su cui hanno lavorato gli autori, per brani dalla varietà musicale vari che passa dal pop, al rock fino alle melodie orientali.
La messa in scena, poi, è ispirata ai grandi peplum hollywoodiani, con 40 interpreti in scena e 200 costumi d’epoca, racconta la recensione de La Croix. Dopo un’apertura tutta effetti speciali, con un Giovanni Battista che grida nel deserto su un potente rullo di tamburi, fortunatamente le scene che si susseguono rispettano una sobrietà che si mette al servizio del messaggio evangelico. L’opera, secondo il quotidiano cattolico francese, è ricca di buone intenzioni e, nonostante qualche passaggio impreciso dal punto di vista teologico come nell’ultima cena, essa funziona dal punto di vista emotivo per un grande pubblico. In particolare la bella scena della salita al Gòlgota di Gesù con la croce attraverso la sala in mezzo agli spettatori visibilmente commossi.

«In un mondo dove la violenza e la miseria regnavano, un uomo si è alzato per incarnare la speranza» aggiungono gli autori. «Da solo difende i deboli contro gli oppressori, da solo denuncia l’ingiustizia e l’ipocrisia, da solo propone l’amore e la verità. Per questo la gente lo segue dai quattro angoli del Paese». Ma chi è realmente quest’uomo dei misteri? Un semplice ribelle, un ciarlatano o il messia che i profeti annunciano dalla notte dei tempi? Accompagnato dai suoi apostoli e da una folla immensa di fedeli, perché arriva a Gerusalemme? Le domande poste dallo spettacolo inquietano i potenti che faranno di tutto per fermare l’ascesa di Gesù.
Belle le voci e di impatto, a partire da quella di Mike Massy, autore, compositore e cantante libanese che interpreta con dolcezza un Gesù che non è, in effetti, né un ribelle, né un blasfemo, ma semplicemente un uomo che denuncia le ingiustizie prendendosi cura di coloro che la società relega ai margini. Accanto a lui Maria (la francese Anne Sila, jazzista emersa a The Voice 4) è la madre che segue il figlio con un misto di ammirazione, inquietudine e tristezza poiché dentro di se conosce il destino di suo figlio. Attorno a lui gli apostoli: Giuda (Clément Verzi, musicista rock emerso a The Voice 5), misterioso e pragmatico, che di fronte avvenimenti più grandi di lui commette l’irreparabile animato dalla paura e dal dubbio; Giovanni (Gregory Deck che arriva dal musical) apparentemente l’apostolo fragile che rivelerà insospettata forza e coraggio davanti alla prova, quelli che mancheranno invece al robusto e battagliero Pietro (Olivier Blackstone) che poi si pentirà. Infine non mancano una innamorata Maria Maddalena, (Chris Nammour cantante di origine libanese che lanciò il 13 novembre 2015 dopo gli attentati di Parigi l’inno di speranza Paris se réleve), l’arrogante Ponzio Pilato (la star del musical francese Solal), l’ipocrita Caifa e l’ispirato Giovanni Battista. Il pubblico applaude e canta in coro nel finale, mostrando di apprezzare l’anima popolare dello spettacolo. Riassunto nei tanti commenti degli spettatori: «Quello che portiamo a casa? Felicità e soprattutto un bel messaggio».

da Avvenire

Musical. «Il figliol prodigo» con i carcerati: a Milano vita e teatro si fondono

Salire su un palcoscenico e farsi giudicare dal pubblico. Come attori, però, e non come uomini. Perché i quattordici detenuti del carcere di Opera che interpretano il musical Il figliol prodigo il conto con la società per gli errori che hanno commesso lo stanno già pagando. Molto salato.

Appartengono tutti al Circuito Alta Sicurezza della Casa di Reclusione milanese, sono ergastolani, o quasi, condannati a pene pesanti per mafia o altri gravi reati. Per la legge sono “pericolosi”. Eppure hanno trovato, con l’aiuto delle istituzioni e accompagnati dalle persone giuste la loro strada di redenzione. E di sicuro negli applausi della platea che abbiamo condiviso al Teatro della Luna di Milano (il musical è andato in scena venerdì 17, sabato 18 e domenica 19 novembre), c’è anche un riconoscimento al valore della loro persona, grazie a qualità artistiche che non pensavano di avere, per la bellezza e il messaggio di speranza che sono stati capaci di trasmettere cantando e recitando in uno spettacolo “forte”, la cui trama si basa proprio sulle virtù del perdono e della misericordia, le stesse che stanno sperimentando con fatica dietro le sbarre.

Enzo, Giuseppe, Giovambattista e i loro compagni di avventura, impegnandosi nel laboratorio teatrale fatto nascere dieci anni fa da Isabella Biffi all’interno dell’istituto di pena, hanno scoperto la gioia di mettersi in gioco per un bene comune e di donare agli altri un po’ di felicità. Dimostrando anche che – credendoci e perseverando – si può cambiare la propria vita e vincere la sfida, non solo giudiziaria, rappresentata da quel fatidico e controverso terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato».

Il figliol prodigo è stato il “musical del Giubileo”, andato in scena, sempre in sold out, all’Ariston di Sanremo e all’Auditorium della Conciliazione di Roma, è stato proposto con identico successo ad altri detenuti e “benedetto” pure da papa Francesco che rispondendo alla lettera inviatagli da tredici reclusi di Opera per presentare il loro progetto di emenda sociale ed umana ha affermato: «Tutti noi facciamo sbagli nella vita, perchè siamo peccatori. E tutti noi chiediamo perdono di questi sbagli e facciamo un cammino di reinserimento…».

Il musical, scritto e diretto dalla cantautrice e regista Isabella Biffi, in arte Isabeau, sviluppa nella trama, sotto forma di favola, la parabola del Vangelo di Luca che racconta del ritorno del figlio minore nella casa paterna dopo aver sperperato le ricchezze e talenti ma viene ugualmente accolto e perdonato dal padre.

La struttura musicale comprende canzoni melodiche e pop su cui si innestano danze arabe, ritmi rock e suoni stile disco. Gli autori delle partiture, tutte originali, sono Gino De Stefani (che ha composto anche per Fabrizio De André, Laura Pausini, Venditti e Al Bano), Fabio Perversi, polistrumentista dei Matia Bazar, Osvaldo Pizzoli, voce solista, flauto e sax del gruppo I Panda, e della stessa Biffi. I costumi sono di Claudia Frigatti, le coreografie di Ivana Scotto, le luci di Giancarlo Toscani. Le scenografie, con immagini che scorrono su un maxischermo, sono firmate da Verena Idri. I ballerini sono professionisti, come la bravissima interprete di Noha. Ultima replica sul palco del Teatro della Luna, oggi (ore 15.30).

Il Laboratorio del Musical di Opera è un progetto di volontariato realizzato grazie alla condivisione istituzionale del direttore dell’istituto, Giacinto Siciliano (a cui è dedicato lo spettacolo in scena a Milano) e alla collaborazione dell’associazione culturale Eventi di Valore: fa leva sulle arti dello spettacolo come mezzi di rieducazione e “rivoluzione umana”.

Avvenire