Mozione della Provincia di Bolzano. Domenica non si lavora. L’Alto Adige ci prova

Quando la società civile ‘spinge’ e fa sentire una pressione condivisa dall’opinione pubblica, i politici non possono tergiversare: devono muoversi nella stessa direzione. La conferma arriva dalle cronache del Consiglio provinciale di Bolzano – solitamente piuttosto litigioso anche per le problematiche etniche – dove il 9 novembre è stata approvata all’unanimità dai 34 presenti una mozione contro il lavoro nelle giornate domenicali e festive. Non sono servite tante ore di discussione pro e contro, come è avvenuto nella stessa seduta per le problematiche del traffico su rotaia o degli alloggi pubblici in affitto, per trovare invece un accordo davvero pieno, quasi plebiscitario (c’era infatti un unico contrario, ma non ha partecipato al voto) attorno al valore della domenica ‘libera dal lavoro’ che da almeno 8 anni in Alto Adige registra una mobilitazione trasversale.

Una vera e propria ‘Alleanza’ costituitasi ufficialmente nel 2009 con la discesa in campo decisa delle diocesi altoatesine e delle associazioni riunite nel Forum cattolico e nella Consulta dei laici, ma anche con l’adesione trainante di tutti e tre i sindacati Cgil-Agb, Uil-Sgk e Cisl-Sgb, più il sindacato sudtirolese di lingua tedesca Asgb e l’Unione commercio turismo (Hds-Unione), che ha funzione di osservatorio.

Non si contano più le iniziative portate nelle piazze e amplificate dai media a favore del riposo domenicale, soprattutto in Quaresima e Avvento, e la campagna ha visto convergere anche sigle laiche a sottolinearne il valore sociale. Lo ha riconosciuto il presentatore della mozione Andrea Pöder, del partito di destra sudtirolese Bürger Union, richiamando le prese di posizione dell’associazionismo altoatesino e aggiungendo che perfino il «Tribunale amministrativo federale tedesco ha difeso la domenica non lavorativa privilegiando il riposo festivo al desiderio di voler subito soddisfatto un bisogno estemporaneo». Altri consiglieri hanno poi consolidato la posizione, come Sven Knoll della Südtiroler Freiheit: «In alcune situazioni in negozi possono restare aperti, per esempio nelle stazioni, ma questa deve essere l’eccezione!».

Non è mancato chi nel dibattito ha fatto esplicito riferimento alle due note, del giugno 2015 e dell’agosto di quest’anno, in cui il vescovo Ivo Muser ricordava che «la domenica e i giorni festivi sono un grande patrimonio umano e non possono essere ridotti a un affare in nome dell’ideologia del consumismo, al punto che l’essere continuamente spinti a consumare ci lascia più stanchi di prima».

E adesso? La Giunta di Arno Kompatscher è vincolata ad adoperarsi (anche attraverso vie legali) «per far osservare il riposo» e a esprimersi contro il lavoro domenicale «nei settori in cui non risulti assolutamente necessario, nonché ad adottare misure adatte che contribuiscano a limitare le aperture domenicali e festive». E l’Alleanza salva-domenica marcherà stretto affinché la mozione forse più condivisa delle recenti cronache politiche non resti inapplicata.

da Avvenire

Papa Francesco: «Il bene della famiglia decisivo per il futuro del mondo»

Quale rapporto tra norma e coscienza? Più importante il bene legato alla coscienza o quello legato alla norma? E come si inserisce in questo binomio il discernimento? Possibile che l’esercizio del discernimento renda accettabile per la coscienza ciò che la norma non comprende? E qual è la gerarchia del discernimento alla luce della coscienza? Prima ecclesiale, poi pastorale e infine personale? Oppure i termini vanno invertiti? E quando è una coppia ad avviarsi insieme sulla strada impervia della riflessione profonda, come armonizzare le diverse sensibilità delle due coscienze? Sembrerebbero questioni di lana caprina quelle emerse al Simposio organizzato a Roma dall’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia su Amoris laetitia. Ma la scelta di mettere al centro del dibattito tra una cinquantina di teologi e di docenti di scienze umane, proprio il tema del rapporto tra norma e coscienza fa parte di un processo di “restituzione” dell’Esortazione postsinodale al popolo delle famiglie.

«Amoris laetitia, attraverso la doppia consultazione popolare è nata dal popolo – ha spiegato don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei di pastorale familiare – e ora sta tornando al popolo anche attraverso il lavoro di riflessione e di analisi portato avanti in Italia non solo dalla Cei, ma dalle oltre 150 comunità che in un poco più di un anno e mezzo hanno organizzato approfondimenti ad ogni livello». In questa prospettiva il rapporto tra norma e coscienza, letto dall’Esortazione postsinodale in modo innovativo e per alcuni versi sorprendente se non addirittura “trasgressivo” rispetto a una certa visione giuridicistica, è sicuramente tra i temi più importanti, anche se più controversi.

Nel videomessaggio che ha aperto il Simposio è stato il Papa stesso a ricordare il valore della coscienza formata e illuminata, secondo la lezione del Vaticano II.

Il riferimento personale a questo tabernacolo interiore dove risuona la voce di Dio – ha spiegato – mette al riparo dall’egolatria che produce false illusioni di autosufficienza e permette alla grazia divina di effondere i suoi benefici nella vita di coppia e di famiglia. Il riferimento alle nozze di Cana è poi servito a Bergoglio per ribadire il carattere rinnovatore del Vangelo visto che Gesù, con il suo gesto di rottura, «ha trasformato la legge di Mosè nel Vangelo dell’amore», la medicina che apre il cuore alla misericordia divina.

Lo stesso obiettivo che – con le debite proporzioni – si propone anche Amoris laetitia che non fa che attualizzare le verità del Vangelo rendendole comprensibili e affascinanti per le famiglie dei nostri giorni. L’ha fatto notare nel suo saluto anche il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Come aveva avuto già occasione di dire, Bassetti ha ricordato che si tratta di «un documento bellissimo che va letto e meditato con grande serenità» ma senza sensazionalismi, nel rispetto della verità dei fatti e senza forzature. Il presidente della Cei ha messo in luce tre aspetti centrali di Amoris laetitia: lo spirito sinodale, la via caritatis e la concretezza. La sinodalità rimanda al modo nuovo modo di essere Chiesa, quello appunto emerso dal doppio Sinodo «vissuto e partecipato come non mai». La carità è l’amore che apre alla speranza ed è l’esercizio più luminoso della maternità della Chiesa che non si rifugia in astrattezze ideali ma guarda con concretezza ai bisogni delle coppie e delle persone. Da qui, il terzo elemento, la concretezza che «rifugge dal moralismo astratto» e permette alle persone che soffrono di scorgere il volto luminoso di Gesù. Quel bene dell’uomo e della donna appunto, che dovrebbe essere una sorta di ponte tra norma e coscienza e non dovrebbe mai essere sacrificato sull’altare di codici e commi.

Ecco perché – ha sottolineato Manuel Jesus Arroba Conde, preside dell’Istituto Utriusque Iuris della Lateranense – per leggere le norme canoniche si esige sempre il discernimento, che non deve però sfociare nel soggettivismo. E se è vero che è sbagliato interpretare il «ruolo della coscienza come mero adeguamento alla norma» bisogna allo stesso modo evitare di «considerare il bene che le norme manifestano in modo compiuto e oggettivistico».

Una complessità nella quale si è inserito anche Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale alla Lateranense, che ha inquadrato il rapporto tra «foro interno» e «foro esterno», spiegando che libertà di coscienza non vuol dire anarchia, anzi l’alleanza tra interiorità ed esteriorità «è il carattere proprio della percezione del divino in una coscienza finita». Tutto ciò giustificherebbe una lettura “sovversiva” di Amoris laetitia? No, anzi, non farebbe che consolidare la consapevolezza che l’Esortazione postsinodale è pienamente inserita nella tradizione della Chiesa. Ma si tratta di tradizione dinamica, capace di far evolvere la dottrina, come sempre è successo nella storia del cristianesimo. Perché una tradizione che rimane sempre uguale a se stessa, «è una tradizione morta» che non può sintonizzarsi con le speranze di futuro incarnate nell’amore di coppia e di famiglia.

Avvenire

Il Vangelo Domenica 12 Novembre 2017. Nella notte, la voce dello sposo che risveglia la vita

XXXII domenica
Tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. (…)
Una parabola difficile, che si chiude con un esito duro («non vi conosco»), piena di incongruenze che sembrano voler oscurare l’atmosfera gioiosa di quella festa nuziale. Eppure è bello questo racconto, mi piace sentire che il Regno è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po’ di luce. Di quasi niente. Che il Regno è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l’attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, uno sposo, un po’ d’amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede.
Ma qui cominciano i problemi. Tutti i protagonisti della parabola fanno brutta figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato che mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte che non hanno pensato a un po’ d’olio di riserva; le sagge che si rifiutano di condividere; e quello che chiude la porta della casa in festa, cosa che è contro l’usanza, perché tutto il paese partecipava all’evento delle nozze… Gesù usa tutte le incongruenze per provocare e rendere attento l’uditorio.
Il punto di svolta del racconto è un grido. Che rivela non tanto la mancata vigilanza (l’addormentarsi di tutte, sagge e stolte, tutte ugualmente stanche) ma lo spegnersi delle torce: Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… La risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Andate a comprarlo.
Matteo non spiega che cosa significhi l’olio. Possiamo immaginare che abbia a che fare con la luce e col fuoco: qualcosa come una passione ardente, che ci faccia vivere accesi e luminosi. Qualcosa però che non può essere né prestato, né diviso. Illuminante a questo proposito è una espressione di Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini e vedano le vostre opere buone» (Mt 5,16). Forse l’olio che dà luce sono le opere buone, quelle che comunicano vita agli altri. Perché o noi portiamo calore e luce a qualcuno, o non siamo. «Signore, Signore, aprici!». Manca d’olio chi ha solo parole: «Signore, Signore…» (Mt 7,21), chi dice e non fa.
Ma il perno attorno cui ruota la parabola è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare la vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia resistenza al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà; che ridesta la vita da tutti gli sconforti, che mi consola dicendo che di me non è stanca, che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. A me basterà avere un cuore che ascolta e ravvivarlo, come fosse una lampada, e uscire incontro a chi mi porta un abbraccio.
(Letture: Sapienza 6,12-16; Salmo 62; 1 Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13)

da Avvenire

Courmayeur, ‘Italy at its peak’

COURMAYER – ‘Italy at its peak’ è il claim della campagna promozionale di Courmayeur che ha presentato a Milano la stagione invernale con un vasto calendario di eventi di ogni tipo, da quelli tradizionali legati allo sci e alle feste natalizie fino a contest culinari con grandi chef internazionali, eventi che verranno tutti raccontati attraverso il nuovo portale di Courmayeur Mont Blanc in via di completamento. Il via ufficiale alla stagione verrà dato l’8 dicembre con una festa nel cuore del paese intitolata Welcome Winter 2018: dal palco della Maserati Mountain Lounge, nel cuore del centro storico, partirà il countdown per l’accensione in contemporanea di tutte le luminarie del paese e delle 20.000 lucine del grande albero di Natale, mentre fuochi d’artificio illumineranno lo skyline notturno di Courmayeur. A seguire salirà sul palco la cantante Nina Zilli e il coro gospel “Cheryl Porter & Hallelujah Gospel Singers” chiuderà la serata. Altri momenti di festa sono previsti per la vigilia di Natale con Rhémy de Noel, figura della tradizione popolare, e per altre due ricorrenze come Carnevale e San Valentino il 13 e il 14 febbraio. Una delle principali novità dell’inverno è la prima edizione di Taste of Courmayeur, dal 26 al 28 gennaio, con grandi chef italiani e internazionali che per tre giorni si alterneranno nelle 8 cucine che saranno allestite all’interno del Courmayeur Mountain Sport Center. Sempre legata al cibo e’ ‘Chef in Comune’, la social table che si svolgerà dal 10 al 17 febbraio con otto cene per 14 ospiti nella Sala Consiliare del Comune di Courmayeur. E dopo il successo dello scorso anno, tornano i Black Saturdays, weekend dedicati allo shopping con sconti particolari e iniziative speciali in tutta la città.
Per quanto riguarda le attività sulla neve, da segnalare ‘click on the mountain’, originale contest che si terrà dal 5 al 11 marzo: quattro team avranno 72 ore a disposizione per completare un book di 10 immagini, un video di circa 120 secondi e un Instagram video di 30 secondi che saranno poi giudicati da una giuria di esperti del settore sport e produzione. (ANSA).