Cimiteri di Reggio e Coviolo: 1 e 2 novembre

Nella solennità di Tutti i Santi, mercoledì 1 novembre, il vescovo Massimo Camisasca presiederà la Messa alle ore 15 al Cimitero monumentale di Reggio.

Per la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, giovedì 2 novembre, la Messa sarà presieduta dal vescovo emerito Adriano Caprioli al Cimitero nuovo di Coviolo, sempre alle ore 15.

laliberta.info

Siria. «Padre Paolo Dall’Oglio assassinato a Raqqa»

Daesh «ha ucciso padre Paolo Dall’Oglio pochi giorni dopo il suo sequestro». È quanto sosteniene un jihadista marocchino catturato dalle forze democratiche siriane (Fds, a maggioranza curda) in una lunga intervista al giornale panarabo al-Sharq al-Awsat. Si tratta dell’ennesima versione sulla sorte del gesuita scomparso a Raqqa nella notte tra il 28 e 29 luglio del 2013, ma la prima dopo la liberazione della “capitale” del Daesh in Siria. Ancora una volta, però, non ci sono prove concrete.

«Nell’estate del 2014 – racconta il jihadista Issam A. –, dopo un anno dall’incidente, attraverso mediatori turchi ci ha contattato un’associazione legata al Vaticano e ci ha chiesto un incontro sul confine tra Siria e Turchia per conoscere la sorte di padre Paolo Dall’Oglio e di un giornalista italiano scomparso in quel periodo. Ho chiamato il nostro comandante generale Abu Mohammad al-Iraqi (iracheno), il quale mi ha ordinato di non parlare del religioso e di rifiutare l’incontro. Poi alcuni capi dell’organizzazione mi hanno riferito che a uccidere il prete cristiano è stato Abu Luqman al-Raqqawi», un responsabile della sicurezza originario di Raqqa che aveva, a quanto si desume dall’intervista, anche «l’incarico di gestire accordi di scambio e riscatti in danaro ».

Il marocchino tuttavia spiega che il capo dell’Ufficio prigionieri, Abu Muslim al-Tawhidi, di nazionalità giordana «è colui che sa chi è stato ucciso, perché tutti i dossier erano nelle sue mani». Padre Dall`Oglio si era recato a Raqqa per svolgere «un difficile compito di mediazione».

Avvenire

Lettere. L’ora di religione per i più piccoli è una risposta alle loro domande

Caro Avvenire,
ho una nipotina di tre anni e mezzo che quest’anno inizia a frequentare la scuola materna. I genitori hanno deciso di farle frequentare l’ora di religione soltanto per non crearle problemi di discriminazione con i compagni di classe e anche per l’assenza di un valido programma sostitutivo che quella scuola non è in grado di assicurare. Diversamente avrebbero, e io con loro, preferito un’alternativa alla religione. Mi chiedo infatti come sia possibile parlare di religione a creature di quell’età senza rischiare di far danni. Proporre loro concetti già ostici per un adulto, cercare in qualche modo di accostarli al mistero senza turbarli con visioni pseudometafisiche, presentare simbologie spesso crude, sempre incomprensibili. Credo che sarebbe molto più utile impiegare quel tempo per curare altri aspetti dell’educazione, magari – perché no – quella fisica. Con assai più benefici per un bambino di pochi anni che chiede risposte chiare a domande quasi sempre assai semplici e sempre maledettamente serie. Oppure, se proprio si vuol introdurre qualcosa di alto, raccontargli qualcosa del Gesù di Renan. Grazie dell’ascolto.

Bruno Stefanelli

«Mi chiedo infatti come sia possibile parlare di religione a creature di quell’età senza rischiare di far danni», scrive il signor Stefanelli. Vorrei rispondere non da giornalista ma da madre di tre figli, che ora sono grandi. Ricordo molto bene però che quando erano piccoli ciò che mi meravigliò di più – io, senza fratelli minori, ero ignara di bambini – era, in loro come credo in ogni bambino, una naturale apertura al mistero della vita e del mondo. Una precoce inclinazione a domandare, di fronte alla realtà, ‘da dove’ veniva ciò che avevano davanti. Ricordo un figlio di neanche quattro anni che una notte al mare, sotto al cielo stellato, in braccio a me, guardando in su, mi domandò a bruciapelo: «Ma le stelle, chi le ha fatte?». Non ‘cosa’ sono, o ‘a cosa’ servono, ma ‘chi’ le ha fatte: che è la domanda dei popoli primitivi, è la domanda ancestrale su un Creatore che sta all’inizio di ogni forma di religiosità. Nell’esperienza poi con tre figli ho conosciuto meglio questa domanda che scaturisce facilmente da un bambino piccolo, solo che lo si stia ad ascoltare. L’arrivo di un nuovo fratellino provoca ulteriormente questa domanda: dov’era, prima, quel bambino piccolissimo, ma già perfettamente formato? Nella pancia della mamma, gli si può rispondere semplicemente. Sì, ma prima ancora? Davanti alla vetrata di una nursery trovarsi a dire a un figlio: guarda quei bambini, di loro nove mesi fa non c’era nulla e ora sono vivi, pensa che mistero. E non so nemmeno se rispondere a certe domande sia già un familiare ‘insegnare religione’, o semplicemente non censurare una domanda originaria che nei bambini piccoli è facilmente trasparente, e emerge, commovendo anche chi queste domande se le era da tempo scordate. Tanto che io mi chiedo se ho insegnato qualcosa ai miei figli, o se non sono stati piuttosto loro a riportare me alle domande fondamentali. Non c’è niente di «incomprensibile» nel rispondere a un bambino che chiede chi ha fatto le stelle, né nel parlargli di un Padre, e di Maria che ha messo al mondo suo Figlio per amore degli uomini. Lo fanno da millenni le madri e i padri cristiani, con poche semplici parole tramandate la sera, prima di mettere i bambini a letto. Bambini che crescono sentendosi amati, e voluti da quel Padre. È una cosa semplice, è come fare una carezza o dare da mangiare. Di certo qualcosa di meno intellettuale di un’opera di Renan, che forse a quattro anni è eccessiva. Ed è già, comunque, una scelta di parte, visto che il Cristo di Renan è esclusivamente un uomo. Sarebbe contraddittorio, mi pare, nell’ora di religione per i più piccoli già escludere a priori la divinità di Gesù Cristo.

da Avvenire

Ognissanti. La festa di chi ci ha mostrato tutta la bellezza del Vangelo

Il 24 ottobre 2017 commentando il capitolo quinto della Lettera di san Paolo ai Romani, dalla liturgia proposto come prima lettura della Messa quotidiana, papa Francesco faceva due affermazioni illuminanti. Il pontefice parlava anzitutto della difficoltà dell’apostolo a trovare delle frasi adeguate ad esprimere il mistero d’amore rivelato da Gesù con la sua venuta nel mondo e la sua via della croce; proseguiva poi sostenendo che i santi, non solo quelli canonizzati, ma anche quelli umili e nascosti, che hanno vissuto nel silenzio il Vangelo di Gesù, indicano la via per immergerci a nostra volta nel mistero d’amore e di misericordia per noi progettato dalla Trinità santa.

Oggi è la festa proprio di questi santi che sono ormai presso Dio, hanno segnato sulla fronte il sigillo dei redenti, seguono l’Agnello e cantano le lodi del Padre. Secondo l’Apocalisse, il loro numero è di 144.000, un multiplo di dodici che è il numero delle tribù di Israele e il numero degli Apostoli. È il nucleo da cui prende forma la Chiesa celeste che presenta compiutamente i 4 attributi che sono anche della Chiesa sulla terra. Essa è una per la comune celebrazione della liturgia in onore dell’Agnello sacrificato, è santa perché partecipa della vita di Dio, è cattolica perché i suoi membri sono «di ogni nazione, razza, popolo e lingua», è apostolica perché non solo discende dagli apostoli ma ha ancora il compito di annunciare il Vangelo agli uomini. I santi, infatti, hanno sì una relazione privilegiata con Dio, ma hanno parimenti una dimensione di fraternità nei confronti degli uomini sulla terra che essi vogliono aiutare intercedendo per loro e indicando la strada che porta alla vita con Cristo in Dio.

Seguendo ora le beatitudini di Gesù, vogliamo presentare alcune figure di santi che con la loro vita ci hanno reso manifesta la bellezza del Vangelo, attrattiva la vita celeste al seguito dell’Agnello. Tra i poveri di spirito possiamo collocare anzitutto i santi bambini perché il Padre ha tenuto nascosti i misteri del regno ai sapienti e agli intelligenti e li ha rivelati ai piccoli. Con questa considerazione san Pio X ammise alla comunione eucaristica i bambini e la Chiesa con cura materna ha avuto sempre una speciale attenzione per l’età infantile. Molto amata dai Romani e dai cristiani dell’antichità fu sant’Agnese, un’adolescente romana messa a morte durante la persecuzione di Decio o di Valeriano.

Ne parlano molti padri da Ambrogio fino a Gregorio Magno. Per tutti Agnese è una ragazza di 12-13 anni dalla fede incrollabile nonostante la giovane età. Condotta davanti al giudice, rifiuta di sacrificare agli dei come disdegna ogni offerta di matrimonio. Va incontro al martirio con l’ansia gioiosa della sposa in cammino verso lo sposo. Nei giorni successivi al martirio i genitori di Agnese ebbero una visione: la loro figlia procedeva tra giovani vestite d’oro accompagnata da un candido agnello. Il motivo dell’agnello venne ripreso da numerosi artisti e dalla devozione popolare che ha dato origine alla tradizione secondo la quale vengono offerti al papa diversi agnelli nel giorno della festa della santa il 21 gennaio. Dalla lana di questi agnelli vengono poi tessuti i pallii che il papa distribuisce agli arcivescovi metropoliti in segno di comunione. La testimonianza della giovane Agnese è diventata così un segno di comunione e di unità ecclesiale.

Più vicino a noi meritano di essere ricordati i due fratelli veggenti di Fatima: Francesco e Giacinta Marto,canonizzati da papa Francesco il 13 maggio di quest’anno. Al tempo delle apparizioni della Vergine, Giacinta, la più giovane dei veggenti, aveva solamente 7 anni. Capì, però, perfettamente quello che la Vergine desiderava. Già malata ebbe una visione della Madonna che le chiedeva se voleva ancora soffrire per convertire i peccatori. Prontamente ella rispose di sì e quando si avvicinò l’ora della morte del fratello gli raccomandò: «Da parte mia porta tanti saluti a nostro Signore e alla Madonna e dì loro che sono disposta a sopportare tutto quanto vorranno per convertire i peccatori». Commentava san Giovanni Paolo II nel giorno della beatificazione: «Giacinta potrebbe benissimo esclamare con san Paolo: ‘Mi rallegro di soffrire per voi, compiendo in me stesso quello che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa’».

Tra i santi dell’infanzia possiamo collocare anche santa Teresa di Gesù Bambino. Ella è tale non tanto per l’età giovanile, quanto per la scoperta della via dell’infanzia spirituale. Scriveva nel 1894: «L’ascensore che deve innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più». Teresa scopre così la ‘piccola via’, la via della confidenza e dell’abbandono, la via di chi ripone unicamente nella misericordia di Dio la propria speranza.

Come rappresentante dei beati che sono nel pianto possiamo ricordare Maria Goretti, Antonia Mesina e Pierina Morosini e tante altre martiri della dignità della donna. Pierina Morosini, in particolare, era una giovane donna nata in provincia di Bergamo nel 1931. Al termine della seconda guerra mondiale aderì all’Azione cattolica. Nel 1947, quasi presaga della sorte che l’attendeva, si recò in pellegrinaggio a Roma in occasione della beatificazione di santa Maria Goretti. Dieci anni dopo, nel 1957, mentre ritornava dal lavoro, venne aggredita da un giovane che cercò di violentarla. Pierina prima cercò di farlo ragionare poi fuggì inseguita dal giovane che la colpì con un sasso. Morì due giorni dopo senza riprendere conoscenza. Di lei disse san Giovanni Paolo II: «I suoi passi non si sono fermati, ma continuano a segnare un sentiero luminoso per quanti avvertono il fascino delle sfide evangeliche».

Come rappresentante dei miti che erediteranno la terra si presta la figura di santa Francesca Saverio Cabrini.Nacque nel 1850 a sant’Angelo Lodigiano da una famiglia di imprenditori. Scelse la vita religiosa nella quale applicò lo spirito imprenditoriale ereditato dalla famiglia a opere evangeliche. Alla fine dell’Ottocento un gran numero di italiani dovette lasciare il nostro paese per guadagnarsi da vivere negli Stati Uniti e nell’America Latina. Santa Francesca partì a sua volta per gli Stati Uniti dove, aiutata dalla congregazione di suore da lei fondata, realizzò un gran numero di scuole strategicamente sparse per il paese. Né l’opera della Cabrini si fermò nel nord del continente americano. Già nel 1891 ella faceva un viaggio avventuroso in Nicaragua, seguirono altri tre viaggi in Argentina e uno in Brasile. Nella sua vita madre Cabrini viaggiò senza sosta perché in ogni emigrante vedeva Gesù. Scriveva: «Colla tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro a te fino alla fine della corsa e ciò per sempre, per sempre». C ome rappresentante della beatitudine di chi ha fame e sete della giustizia presentiamo il sacerdote siciliano don Giuseppe Puglisi. Parroco nel quartiere del Brancaccio a Palermo, don Puglisi aveva concentrato i suoi sforzi nell’educazione civile e religiosa dei giovani. La bontà del suo metodo venne riconosciuta dagli stessi mafiosi che ne decretarono la morte nel 1993. Aveva scritto: «Chi usa la violenza non è un uomo, chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi dell’umanità».

È stato beatificato da papa Francesco il 25 maggio del 2013. Tra i rappresentanti della beatitudine della misericordia ricordiamo il sacerdote san Giovanni Maria Vianney (1786-1859). Non fu uno studioso brillante, al contrario solo a fatica riuscì a completare gli studi per diventare sacerdote. Parimenti non gli venne affidato un incarico importante, bensì la parrocchia di Ars, l’ultimo villaggio della diocesi. Ai suoi parrocchiani, tuttavia, egli dedicò tutto il suo tempo e le sue energie, soprattutto il confessionale divenne il luogo privilegiato della sua pastorale. Qui i suoi fedeli ma anche i tanti pellegrini che venivano da tutta la Francia poterono sperimentare la misericordia di Dio di cui san Giovanni fu un dispensatore convinto.

Per i puri di cuore possiamo rimandare alla prima beatitudine, quella dei santi bambini. Per la beatitudine degli operatori di pace il pensiero va a un grande santo dell’antichità: san Benedetto, il padre dei monaci. Ha detto papa Benedetto della sua regola: «Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino a oggi». Per questo san Benedetto ha saputo creare tante oasi di pace e il suo programma di vita ha ancora futuro davanti a sé. Da ultimo la beatitudine dei perseguitati a causa della giustizia e della testimonianza del Vangelo trova intensa applicazione nei nostri tempi. Per il numero dei martiri si ha l’impressione di essere ritornati alle origini cristiane su una scala più vasta, estesa a tutti i continenti. Non è una situazione invidiabile e, come facevano i padri nell’antichità, bisogna gridare contro l’ingiustizia.

Questo non ci deve impedire, tuttavia, di guardare alla Gerusalemme celeste dove l’assemblea dei santi si unisce al coro degli angeli per cantare le lodi di Dio. Seguendo, poi, l’invito della liturgia possiamo rallegrarci per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa che il Signore ci ha dato come amici e modelli di vita con la speranza fondata di raggiungerli al termine del nostro cammino sulla terra.

Avvenire

Rifiuti, 433mila tonnellate all’estero. E costano 86 milioni

Ogni anno 433mila tonnellate di rifiuti prodotti in Italia prendono la strada dell’estero. La destinazione preferita? Austria e Ungheria. Succede perché nel nostro Paese mancano impianti di trattamento adeguati e perché la raccolta differenziata, sia pur molto cresciuta negli ultimi dieci anni, avanza a diverse velocità, con il Sud ancora molto indietro rispetto al Nord. Il risultato è che ogni tonnellata in viaggio oltreconfine, su tir, treno o nave, «costa per trasporto e smaltimento fino a 200 euro, a seconda delle varie gare europee » spiega Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente.

Il totale è presto fatto: oltre 86 milioni in un anno. «Con una differenza sostanziale rispetto al passato: una volta l’approdo era il Nord Europa, in Paesi dove i controlli erano ferrei. Oggi la direzione dell’Europa centro-orientale è assai meno rassicurante: i materiali possono infatti finire in discariche di dubbia qualità, aumentando i rischi ambientali per i territori che li ospitano».

La follia dei trasporti di rifiuti in giro per l’Italia e per il Vecchio continente è stata fotografata ieri dal rapporto Ispra e sembra assumere ormai contorni paradossali. I numeri diffusi dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dicono che l’export ha ormai doppiato l’import, fermo a 208mila tonnellate.

Il peso delle lobby e i pochi impianti

Prendiamo il caso di Roma: ogni giorno escono dalla Capitale 170 Tir in direzione delle regioni settentrionali. Obiettivo: smaltire i rifiuti che restano bloccati nei cassonetti, «perché mancano gli impianti per trattare il materiale organico in questa metropoli e perché la lobby di chi dice no a tutto, a partire dal biogas, è più forte di qualsiasi ragionamento politico».

Quel che accade nella Città Eterna vale da monito per il resto d’Italia. A seconda di come operano famiglie, enti locali e industria, infatti, c’è la possibilità di incontrare un Paese virtuoso oppure no, un insieme di buone pratiche o l’emergenza, segnali di cultura ecologica o danni all’ecosistema. Quel che è certo è che nel 2016 sono diminuite sia le discariche attive che i rifiuti in esse conferiti. «La scarsa dotazione impiantistica – sottolinea il rapporto Ispra – fa sì che in molti contesti territoriali si assista ad un trasferimento dei rifiuti raccolti o sottoposti a trattamento biologico in altre regioni o all’estero, dove la capacità di trattamento risulta superiore ai fabbisogni». A livello nazionale, il materiale smaltito in discarica è diminuito del 5% rispetto al 2015, con un crollo del 13% nelle regioni del Nord e il coinvolgimento di 134 siti nello smaltimento del circuito urbano, 15 in meno rispetto a dodici mesi prima.

«Ciò significa che sta avvenendo contemporaneamente un aumento della raccolta differenziata da una parte e un avvio al riciclo dall’altra – osserva Ciafani –. L’operazione da fare è semplice: deve salire ulteriormente il livello e la qualità della raccolta differenziata, così da poter fare a meno delle discariche».

L’ostacolo della burocrazia

Le buone notizie arrivano dal Centro Nord, con Treviso (87,9%) Mantova (86,4%) e Pordenone (82,3%) a quote ben superiori di raccolta differenziata da quella già ottimale fissata per legge al 65%. Ma esempi positivi riguardano anche Sardegna e Campania, eccezion fatta per Napoli. «I ‘bubboni’ sono rappresentati da Roma, dalla Calabria e dalla Sicilia. Il nodo da affrontare è chiaro – dice il direttore scientifico di Legambiente –. Chi dice ‘rifiuti zero’ sia coerente e proponga nello stesso tempo ‘impianti mille’, per il riciclo dell’organico differenziato con nuove tecnologie in grado di produrre biometano».

Il problema non è solo l’assenza di infrastrutture di smaltimento ad hoc, ma anche la mancanza di decreti attuativi e autorizzazioni regionali. La burocrazia è il primo ostacolo all’economia circolare e fa il gioco di tante lobby invisibili. L’elenco è lungo e comprende chi controlla raffinerie, impianti di gas fossile, cave. Persino i produttori di cassonetti, «la prima cosa che Virginia Raggi dovrebbe avere il coraggio di eliminare a Roma» dice Ciafani. Serve più pragmatismo e meno ideologia, insomma, anche perché i risultati ci sono: in dieci anni la raccolta differenziata nazionale è raddoppiata, passando dal 25,8% al 52,5%.

Avvenire

Angelus del Papa. «I Santi non sono modellini perfetti, ma persone attraversate da Dio»

«I santi non sono modellini perfetti, ma persone attraversate da Dio. Possiamo paragonarli alle vetrate delle chiese, che fanno entrare la luce in diverse tonalità di colore». Papa Francesco ha commentato così nell’Angelus in piazza San Pietro la solennità di
Tutti i Santi. “È la nostra festa: non perché noi siamo bravi, ma perché la santità di Dio ha toccato la nostra vita». «I santi – ha sottolineato – sono nostri fratelli e sorelle che hanno accolto la luce di Dio nel loro cuore e l’hanno trasmessa al mondo, ciascuno secondo la propria tonalità. Ma tutti sono stati trasparenti, hanno lottato per togliere le macchie e le oscurità del peccato, così da far passare la luce gentile di Dio. Questo è lo scopo della vita, anche per noi”. “E ce ne sono tanti oggi, salutiamoli con un applauso”, ha aggiunto Francesco a braccio.

Papa Bergoglio si è poi soffermato sul messaggio delle beatitudini. “Non richiedono – ha osservato – gesti eclatanti, non sono per superuomini, ma per chi vive le prove e le fatiche di ogni giorno. Così – ha ripreso – sono i santi: respirano come tutti l’aria inquinata dal male che c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indicato nelle beatitudini, che sono come la mappa della vita cristiana”.

“Oggi – ha spiegato Francesco – è la festa di quelli che hanno raggiunto la meta indicata da questa mappa: non solo i santi del calendario, ma tanti fratelli e sorelle della porta accanto, che magari abbiamo incontrato e conosciuto”.

Quella odierna, dunque, ha concluso il Papa, “è una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a mandare avanti il mondo. E ce ne sono anche oggi!”.

Dopo la preghiera il Papa ha ricordato gli attentati di questi giorni in Somalia, Afghanistan e New York: «Deploro gli atti di violenza e prego per i defunti e i feriti. Preghiamo che il Signore converta i cuori dei terroristi».

Avvenire