Italia Sull’attuazione delle linee guida contro gli abusi si gioca la credibilità della Chiesa. Senza se e senza ma

L’Osservatore Romano

(Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto) È di notevole rilievo il documento pubblicato dai vescovi italiani e dalla Conferenza dei superiori maggiori delle comunità religiose presenti in Italia dal titolo Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili (24 giugno 2019): esso recepisce in maniera puntuale gli indirizzi che Papa Francesco ha dato alla Chiesa per affrontare la dolorosa questione degli abusi commessi da membri del clero, a cui lo stesso Papa ha voluto dedicare un “summit” mondiale dei presidenti delle conferenze episcopali, tenutosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio scorsi. Il testo porta in esergo una citazione di Francesco, che mostra chiaramente quanto dolore e quanta cura questa ferita abbia prodotto in lui: citando la frase di San Paolo «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Corinzi, 12, 26), il Papa afferma: «Queste parole risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti […]. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità» (Lettera al popolo di Dio, 20 agosto 2018).
Il testo comprende principi guida e indicazioni operative: dopo aver affermato con assoluta chiarezza che l’abuso è sia un delitto che un peccato gravissimo, da «contrastare e prevenire con assoluta determinazione», si chiama in causa l’intera comunità cristiana, che deve sentirsi tutta «coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi, non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli». A tutti viene domandato di impegnarsi «nell’ascolto delle vittime e nella loro presa in carico, favorendo una cultura della prevenzione, la formazione e informazione di tutta la comunità ecclesiale, la creazione di ambienti sicuri per i più piccoli, l’attuazione di procedure e buone prassi, la vigilanza e quella limpidezza nell’agire, che sola costruisce e rinnova la fiducia».
Nessuna copertura o omertà può essere insomma giustificata. Al primo posto deve esserci l’attenzione per le vittime: «La vittima va riconosciuta come persona gravemente ferita e ascoltata con empatia, rispettando la sua dignità. Tale priorità è già un primo atto di prevenzione perché solo l’ascolto vero del dolore delle persone che hanno sofferto questo crimine ci apre alla solidarietà e ci interpella a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta». La logica del “salvare la faccia”, che si ritorceva sulla tragica sofferenza di chi era stato abusato, è non solo abbandonata ma decisamente condannata come immorale e contraria alla verità e alla giustizia, umana e divina. Il prendersi cura delle vittime, accompagnandole e supportandole nel necessario percorso di riconciliazione, guarigione interiore e pace, si unisce poi al dovere della giusta penitenza di chi ha commesso abusi, chiamato a una profonda e radicale conversione.
Anche riguardo alla formazione dei futuri sacerdoti e religiosi il testo dà indicazioni chiare: «Sono necessari itinerari pedagogici che mirino a formare nei soggetti una solida identità e il senso autentico di quella particolare autorità legata al sacerdozio e alla consacrazione religiosa, che è l’autorità del servizio e della compassione; l’autorità di chi pone liberamente la propria vita al servizio degli altri». E la formazione dovrà essere permanente, come esercizio di una «libertà che si rinnova ogni giorno e rimotiva la scelta facendone scoprire bellezze inedite, fino a suscitare profonda gioia in chi ha scelto di appartenere totalmente a Dio».
Il documento chiede anche una fattiva collaborazione con le autorità dello Stato, nel rigoroso rispetto della normativa tanto canonica, quanto civile, attraverso la redazione e l’applicazione di procedure e protocolli opportuni, oltre che il supporto di specifiche competenze. Si dovrà ricorrere a tutte «le iniziative idonee per impedire la reiterazione dei reati», creando servizi e strumenti che ai vari livelli e con l’apporto di diverse professionalità «possano aiutare a diffondere una cultura della prevenzione, strumenti di formazione e informazione, oltre che protocolli procedurali».
Fra le indicazioni operative, il testo raccomanda che «l’ascolto di coloro che affermano di aver sofferto un abuso sessuale in ambito ecclesiale continui nel tempo e sia percorso di tutela e di cura attraverso cammini di giustizia e riconciliazione». Alla Chiesa tutta, infine, si chiede di «assicurare alle vittime e alle loro famiglie sostegno terapeutico, psicologico e spirituale […] secondo principi di legalità e trasparenza». Richieste puntuali, sulla cui attuazione si giocherà la credibilità di pastori e fedeli, chiamati a impegnarsi su questo fronte senza se e senza ma, nella consapevolezza di doverne rispondere al giudizio di Dio, oltre che a quello delle leggi civili, nel primario interesse della tutela dei più piccoli e vulnerabili, che, come ci ricorda il Vangelo, sono anche i più preziosi agli occhi del Signore. Si tratta insomma di un testo coraggioso e onesto, che suona anche come un invito a tutte le categorie dove questi delitti possono avvenire — specie famiglie e ambienti educativi — a prevenire ogni forma di abuso e a tutelare i minori.
L’Osservatore romano, 3-4 luglio 2019