In un libro il problema dell’interazione fra sacerdoti e laici nella Chiesa ortodossa russa. La messe è abbondante ma sono pochi gli operai

L’Osservatore Romano

(Giovanni Zavatta) Non basta edificare nuovi luoghi di culto per sviluppare la Chiesa. È una condizione necessaria ma non sufficiente. Prima viene la costruzione delle comunità parrocchiali, attive, inserite nella società. Senza di esse non può esserci espansione della vita ecclesiale. Anzi, è dalla comunità stessa che può prodursi la crescita del numero di sacerdoti, altra condizione essenziale per espletare al meglio la missione pastorale. È una delle conclusioni a cui giunge l’arciprete Nikolaj Emeljanov, vicerettore dell’Istituto di teologia dell’università ortodossa San Tichon di Mosca e ricercatore presso il laboratorio di Sociologia della religione, nel suo libro «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai». Il problema dell’interazione tra sacerdoti e laici nella Russia contemporanea, edito dallo stesso ateneo. Quello della costruzione di vere comunità parrocchiali è una delle principali preoccupazioni del patriarca di Mosca Cirillo, una costante nei suoi discorsi. Secondo l’autore, intervistato da Pravoslavie.ru, raggiungere tale obiettivo è molto più facile se il sacerdote proviene lui stesso dalla comunità parrocchiale e mantiene un legame costante con essa. L’ideale sarebbe che il prete, dopo aver ricevuto adeguata formazione spirituale e intellettuale, tornasse nella parrocchia di origine per celebrare e predicare a sua volta. «Sarebbe una pratica efficace se la vita ecclesiale e il ministero sacerdotale fossero trasmessi di generazione in generazione», afferma.
Nella monografia — si legge sul sito in rete dell’università — viene proposto un metodo originale basato sulla sovrapposizione di due approcci allo studio della religione: come culto del sacro (domanda) e come interazione (offerta), in questo caso tra sacerdoti e laici credenti. È stato predisposto un modello che consente di dare una valutazione quantitativa dell’offerta della Chiesa ortodossa russa. Tale modello teorico è stato approvato in base ai dati della ricerca empirica quantitativa intitolata «Cinquanta confessioni nelle parrocchie moscovite» e a un ampio materiale empirico di ricerche qualitative sul campo, condotte dal laboratorio di sociologia della religione dell’ateneo fra il 2003 e il 2017. I risultati della ricerca consentono di mettere in dubbio la tesi relativa alla secolarizzazione in atto e, in generale, di guardare in modo nuovo alla situazione religiosa contemporanea in Russia.
L’Istituto teologico della San Tichon prepara i candidati all’ordinazione sacerdotale da oltre venticinque anni. Lo studio effettuato permette di avere uno sguardo nuovo sul processo di preparazione pastorale, di comprendere più chiaramente la situazione attuale della Chiesa, di domandarsi soprattutto di che tipo di sacerdoti si ha bisogno oggi, come e a cosa devono essere preparati. «Sono certo che la Chiesa risponderà al problema della mancanza di sacerdoti. Dalle pietre Dio “può suscitare figli di Abramo”», osserva Emeljanov, citando il vangelo di Luca (3, 8).
Il libro parte da un dato statistico: in Russia, a fronte di un 80 per cento di cittadini che si dichiarano ortodossi, ci sarebbe solo un 3-5 per cento che frequenta effettivamente e regolarmente la Chiesa. Le risposte sono molteplici: «La più conosciuta e semplice è che questa consapevolezza di essere ortodosso non ha generalmente nulla a che fare con la religiosità. Si definiscono ortodossi coloro che vogliono in questo modo manifestare la propria appartenenza etnica o nazionale, come russi e cittadini russi». Un’altra ipotesi è legata alla tendenza globale alla secolarizzazione, direzione verso la quale si sta muovendo anche la Russia: «La secolarizzazione dà origine a una forma particolare di religiosità che è extra-ecclesiale, vaga, e non può più, per questo motivo, essere definita classica, istituzionale nel senso pieno del termine». Ma esiste un’altra spiegazione ed è legata alla scarsità di preti: in Russia uno per 6050 fedeli, contro ad esempio (sono cifre contenute nel volume) uno per 2688 in Francia o uno per 1050 in Grecia. Come soddisfare i bisogni spirituali, ma anche come rispondere ai problemi personali, di tutti? Non c’è tempo e non è più come all’epoca di san Giovanni di Kronštadt (1829-1908), famoso perché ogni mattina nella sua parrocchia riceveva per la confessione migliaia di persone. «Se parliamo delle chiese nelle grandi città — afferma l’autore — il prete si sente costantemente in uno stato di continua fretta. Vede che c’è sempre qualcuno che vuole parlare con lui, ma spesso non può. Per il parroco è un’esperienza dolorosa. Sono personalmente convinto che metà delle situazioni di conflitto nella Chiesa, che sovente leggo su Facebook o sulla stampa, sono legate a queste circostanze. Raccontano che il fedele è entrato in chiesa e che il prete si è comportato in modo rude nei suoi confronti. Analizzando queste situazioni, intuisco che in almeno metà dei casi è successo perché il sacerdote aveva fretta, doveva andare da qualche parte. Ecco perché non ha avuto l’opportunità di parlare con lui». Ma la mancanza di attenzione dovuta ai troppi impegni è diventata abitudine, «cosa assolutamente non consentita a un sacerdote»: fatto sta che «una reazione di difesa può solo respingere le persone, può solo produrre un’impressione fastidiosa». E a pagarla è l’immagine della Chiesa.
Una situazione tipica è quella in cui, durante un servizio festivo, davanti al sacerdote arrivano quasi cento persone in fila per confessarsi ed egli deve parlare con tutti in un’ora. Tra queste persone possono trovarsi quelli che chiedono semplicemente la preghiera dell’assoluzione, ma anche coloro che vengono per la prima volta in chiesa. In tale situazione, «nessun contatto profondo può, in linea di principio, avvenire con il sacerdote».
Nel corso della sua ricerca, Emeljanov ha cercato inoltre di stabilire approssimativamente la dimensione della comunità che un prete da solo può gestire: «Anche se non abbiamo fatto uno studio su larga scala, siamo giunti alla conclusione, basata sui colloqui con i sacerdoti e sull’analisi dei documenti, che le dimensioni ideali di una comunità servita da un solo sacerdote è di duecento, al massimo cinquecento persone».
La mancanza di una cultura ecclesiale larga e di massa, così come la carenza di forme sociali diffuse (a differenza dell’Europa occidentale in Russia sono pochi i movimenti e le associazioni cristiane), comportano che il prete rappresenti a volte per un individuo «l’unico punto di accesso alla Chiesa», la cruna dell’ago attraverso cui deve passare tutta la vita ecclesiale. Ed è anche per questa poca offerta, conclude l’autore, che la domanda (3-5 per cento di praticanti) stenta così tanto a crescere.
L’Osservatore Romano, 8-9 luglio 2019